A tre anni dall’ottimo esordio nel Marvel Cinematic Universe, James Gunn era atteso al varco da una prova ancor più difficile: non fare un sequel deludente di un film che fu accolto dal favore unanime di critica e pubblico. Beh, senza girarci troppo intorno, Gunn ci riesce appieno con questo Volume 2. Le novità del primo capitolo, che avevano segnato un grande cambio stilistico nell’universo Marvel, sono ormai interiorizzate dall’universo cinecomic (vedi Deadpool), quindi non sarebbe stato sufficiente ripeterle pedissequamente per fare un film davvero convincente.

Allora James Gunn fa qualcosa di diverso: lavora di cesello per perfezionare tutti i punti di forza della sua saga, aggiungendone altri. Questo non è più tanto un film d’azione, quanto piuttosto una commedia con qualche inserto movimentato. Si privilegia di gran lunga la definizione o l’approfondimento dei caratteri dei personaggi, con risultati clamorosamente positivi. Siamo di fronte a un film di relazioni umane: padre e figlio, sorella e sorella, leader e sottoposti, nemici – amici. La bellezza e il gusto della visione sono dati in massima parte da questi rapporti, sempre sfumati e imprevedibili. Senza rivelare troppo, bisogna riconoscere al regista e sceneggiatore la capacità di costruire dei dialoghi credibili, che postulano relazioni di un certo tipo, salvo poi ribaltarle repentinamente, senza perdere però credibilità.

Guardiani della Galassia Vol. 2 riesce a non essere telefonato nei suoi sviluppi, e non è poco per il genere; questo grazie alla divaricazione all’interno della squadra di eroi, che li porta ad affrontare peripezie diverse, in luoghi lontani, apparentemente inconciliabili. Superata la metà del film non è ancora bene chiaro dove si stia andando a parare. Lo si sospetta, ma diversi elementi sembrano indicare una via tortuosa nella risoluzione dei problemi. Forse per questo risulta un po’ artefatta la rapidità con cui tutti i protagonisti si ritrovano, di nuovo uniti contro un nemico che diventa tutto a un tratto banale e ordinario. Quella è una delle poche pecche del film.

Per il resto, rasentiamo davvero la perfezione. Personaggi approfonditi, che cambiano carattere, imparano l’ironia o la sensibilità, capiscono di essere troppo scorbutici, oppure crescono e diventano adolescenti intrattabili. Le sequenze d'azione sono poche ma grandiose e osservate in modo originale: l’inizio è folgorante. I nostri combattono un mostro gigantesco, ma la macchina da presa segue i giochi del piccolo Groot, lasciando solo sullo sfondo la battaglia. Qualcosa di simile si ripete nello scontro finale, ma inevitabilmente l’attenzione non può del tutto spostarsi dal cuore dell'azione. È parimenti apprezzabile la cura estetica, che tocca livelli davvero sopraffini, nella realizzazione delle sequenze d’azione e in generale nella rappresentazione del cosmo. I pianeti, i personaggi, le navicelle, le armi: tutto è meraviglioso, coloratissimo, bislacco, insolito.

L’ironia, sorprendente nel primo film, poteva diventare patetica e del tutto prevedibile. Per questo Gunn lavora sulle alternanze, evitando di creare meccanismi troppo ripetitivi: perciò, durante un momento epico potrebbe arrivare la battuta dissacrante, come potrebbe non farlo. Questo è fondamentale per evitare l'appiattimento. Per funzionare l’ironia si fa inoltre più scorretta, volgare, graffiante. Sintomo della volontà di destabilizzare lo spettatore, non lasciarlo in una comfort zone troppo soffice.

Ad ogni modo, la dimensione epica degli scontri è costantemente scongiurata dalle musiche: le uccisioni e le distruzioni sono sempre accompagnate da canzoni vintage, che ne stemperano la drammaticità. Ciò non toglie che in un film Disney si veda uno dei protagonisti fare fuori un centinaio di persone in pochi secondi. È un passo in avanti non da poco, che non tocca il parossismo sanguinario di Logan, ma comporta comunque un innalzamento del target di pubblico.

C’è anche spazio per approfondire i problemi di linguaggio di Groot, per misurare le asperità caratteriali di Rocket, per esplorare la dimensione paterna di Yondu, le cicatrici emotive di Nebula, i limiti relazionali di Mantis. E tutto scorre via liscio come l’olio, senza un rallentamento che sia uno.

Se a tutto ciò si aggiungono le ambientazioni sempre più suggestive dello spazio profondo, la tenerezza di baby Groot, la presenza di due attori feticcio come Kurt Russell e Sylvester Stallone, perfetti tra l’altro per l’immaginario vintage delle musiche e dei cromatismi al neon, e non ultima la densità emotiva di certi passaggi, ben si comprende il livello raggiunto dalla Marvel e dal talentuoso James Gunn. Questi personaggi bucano davvero lo schermo, sembra di conoscerli, tale è la loro credibilità a tutto tondo. Al termine delle avventure si celebra un funerale: pur antitetica al mood dominante, la commozione per il doloroso commiato arriva intatta allo spettatore.

7.5/10

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