Si giocava tanto, quasi tutto. E se l’è giocato bene, quella vecchia volpe di James Gunn.
Gli si chiedeva di salvare Superman, la Dc, forse addirittura i cinecomic nel loro complesso, dato che versano ormai da tempo in una fase di stasi creativa e ridimensionamento economico (il box office parla chiaro). Superman doveva farlo James Gunn, a sto giro, perché gli si chiedeva l’impossibile o quasi, a partire dallo svecchiamento di una figura un po’ consunta e poco simpatica come quella del supereroe inventato da Siegel e Shuster.
Non poteva sbagliare, Gunn, perché questo film segna anche l’avvio del nuovo Dc Universe, da lui creato in qualità di co-fondatore e co-ceo dei Dc Studios rinati nel 2022.
L’eroe in crisi
Parte molto veloce il film, tagliando corto sulla storia di origine di Kal-El (quattro frasi in apertura) e immergendoci subito nel cuore delle vicende. Non solo: la prima immagine che ci viene mostrata è quella del supereroe gravemente ferito, che torna alla sua base segreta trascinato dall’impertinente cane Krypto. E non sarà questo l’unico momento di difficoltà dell’eroe, anzi. Possiamo dire che questo Superman è quasi sempre in difficoltà, si misura con un nemico che lo incalza e ne conosce alla perfezione le mosse. E quando non si tratta di combattimenti, le difficoltà sono legate all’opinione pubblica e ai social. Un ottimo modo per renderlo più simpatico e farci empatizzare con lui.
Fake news e shitstorm
Perché in quest’opera la lotta e gli scontri sono solo una parte dei problemi di Superman. Non basta più sconfiggere i cattivi, bisogna anche farlo… nel modo giusto. Mi spiego meglio: questo eroe viene calato in un mondo particolarmente realistico e legato all’attualità vera di oggi. E quindi nelle trame complesse tra nazioni in guerra diventa difficile - almeno per l’opinione pubblica - stabilire chi siano i buoni e chi i cattivi. La risolutezza dell’alieno che interviene senza chiedere il permesso alle alte sfere per salvare vite umane inizia ad andare scomoda agli Usa e ai loro alleati.
Tutto questo si ripercuote sull’opinione pubblica, che viene manovrata a piacere da notizie fasulle, bot-scimmia impegnati a diffamare sui social con centinaia di commenti, ma anche contro-inchieste autentiche per dimostrare che il diffamatore Lex Luthor non ha pochi scheletri nell’armadio. L’eroe, costantemente messo in discussione, sfiora il burnout emotivo, al punto da non voler uccidere nemmeno un mostruoso alieno gigante e prodigandosi per salvare anche uno scoiattolo dai danni collaterali. Più delle armi di Luthor, sono le shitstorm dei social a minacciare pesantemente l’eroe.
La guerra reale in un mondo fittizio
Gunn costruisce una grande metafora della guerra di Gaza, possiamo dirlo senza indugi. C’è un popolo oppresso (Jarhanpur), un oppressore (Boravia), un grande alleato (Usa) con una fiorente industria bellica che fornisce armi a piene mani (LuthorCorp). Ma non tutti sono d’accordo: Superman, ad esempio. Gunn si prende il rischio di risultare politicamente schierato, e secondo me fa bene, perché riempie il cinecomic di spunti che, per quanto semplicistici rispetto alla geopolitica reale, accendono se non altro una dimensione trascurata da questo genere di film: la sua connessione con la politica reale, con il mondo com’è oggi, nonché i vizi e le virtù morali dei leader mondiali. Pensiamo alle prime, potentissime stagioni di “The Boys”. Ecco, se vogliamo proseguire la metafora, qui Superman sembra rappresentare l’ideale (molto teorico e forse mai pienamente realizzato) degli Usa come guardiani della pace nel mondo, laddove ormai sembra prevalere (chi ha detto Donald?) una visione e una strategia più utilitaristiche e situazionali.
Uomini ed eroi
La forza di Gunn, oltre alla costruzione limpida della trama, sta sicuramente nei personaggi. Clark Kent è perfetto nel suo stare a metà tra il “primo della classe” e il personaggio goffo, incapace di mediare. In questo senso, il dialogo-intervista con la fiamma Lois Lane è uno dei passaggi migliori di tutto il film. Da una parte la visione problematica e sempre relativa della giornalista, dall’altra il decisionismo assoluto di un eroe che sa distinguere bene e male al di là degli steccati politici. Ma anche i tanti comprimari funzionano, affidandosi alla consolidata dimensione comico-umoristica di Gunn. Massimo esempio in questo senso, i tre “alleati ma non del tutto” della Justice Gang (Lanterna Verde, Mister Terrific e Hawkgirl) che si fanno molti meno problemi di Superman sui danni collaterali, e nessuno sembra contestarglieli.
Gunn è maestro nel far collidere o incontrare le diverse istanze dei suoi personaggi. C’è la fidanzata di Lex Luthor fissata coi social che flirta col giornalista e gli promette di fornire materiali per un dossier contro Luthor; c’è Lois Lane che instaura un’alleanza con Terrific per andare in missione nell’universo tasca dove è prigioniero Superman. C’è Metamorpho che è carceriere involontario e salvatore dell’eroe protagonista. C’è il cane Krypto che funziona da perfetto diversivo narrativo, per scombinare le carte ogni volta che il regista ne sente la necessità.
Comprimari e protagonisti
Il perfezionismo di Gunn ci porta in dono tanti personaggi memorabili anche quando solo accennati. Penso ai genitori adottivi di Clark (che frecciate che si tirano!), penso agli androidi servitori (“ci darà mai un nome?”), ai nemici Ultraman e Engineer (“ho sacrificato la mia vita per questo potere”). Tutto ciò che compare a schermo viene spiegato e sviluppato nel modo giusto perché sia efficace.
Non dimentichiamoci un casting difficilissimo e, lo possiamo dire, pienamente azzeccato. David Corenswet, Rachel Brosnahan e Nicholas Hoult sono volti più o meno noti che richiamano le fattezze dei protagonisti ormai fissate nell’immaginario collettivo, ma operano anche uno svecchiamento, viene da dire un ringiovanimento. Volti freschi per personaggi resi sicuramente molto freschi dalla scrittura di Gunn.
Senza esagerare
Nella sua dimensione più moderna e innovativa, il “Superman” di James Gunn non ci costringe a un finale pirotecnico ed esagerato, fatto di botte e scontri gargantueschi, com’era d’abitudine per i cinecomic. Al contrario, la vicenda si chiude quasi in sordina, con un tono attenuato e ironico. Non che manchino i momenti d’azione o le immagini spettacolari nelle due ore di film: ci sono, e spesso meriterebbero una particolare menzione per le inquadrature, lo stile, le musiche (come d’altronde accadeva nei “Guardiani della Galassia”). Tuttavia, il regista si sente così forte e conosce le qualità persistenti del suo film da non aver bisogno di strafare o chiudere con i fuochi d’artificio.
Il “Superman” di Gunn non salva solo il Dc Universe: restituisce ai cinecomic il diritto di essere politici, complessi e… umani.
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