Forse un filo eccessivo il sensazionalismo intorno al nuovo film della saga di Wolverine. Per carità, è un buonissimo lavoro, che un po’ come Deadpool l’anno scorso va a scardinare alcune forme quasi precostituite dei cinecomic. In questo caso, le questioni centrali riguardano il modo in cui viene mostrata la violenza, la possibilità che anche una bambina possa uccidere con grande spargimento di sangue e teste amputate, ma anche la necessità di prendersi delle pause, di non essere schiavi di un ritmo forsennato o comunque incalzante.

Logan si pone in antagonismo alle tendenze generali: l’eroe infilza decine di teste, senza il minimo rimorso, scarica la sua furia cieca su un esercito di nemici che evidentemente se lo meritano. Addio questioni morali, tanto care ai cinecomic del 2016, siamo nel 2017 baby! Questa recrudescenza nell’uso della violenza e del sangue ha la sua sublimazione nelle azioni della ragazzina, Laura, che infilza crani e arti con la stessa ferocia di Wolverine, se non di più. In questo senso siamo davanti a un film liberatorio, un bagno di sangue quasi nichilista, ma al contempo fragilissimo. Un simile dispiegamento di morte ha un suo controcanto ben riuscito: sono i pochi, ultimi affetti che restano ai due protagonisti, ormai anziani e malridotti, ai quali si aggiunge l’inesperienza e la selvatichezza di Laura, che va ad amplificare le fragilità di Logan e Xavier.

Questa particolare dimensione della vicenda si lega magnificamente all’interessante gestione del ritmo e dei tempi. Il cuore pulsante del film è nella sezione centrale, quando i tre protagonisti in fuga si fermano da una famiglia, per vivere una serata normale, rigenerante. È lì che le frizioni nell’animo di Wolverine si amplificano, ed è lì che la gestione della tensione segna i suoi momenti migliori. Un cuore calmo, una piccola sfera di normalità in mezzo alla violenza, che rappresenta il vero apice del film. Il discorso sul rapporto tra vita normale e vita da mutante, tra realtà e fantasia fumettistica, ha lì la sua sublimazione: c’è poco tempo per vivere momenti normali, Xavier lo sa bene e ne è logorato. Il bagno di sangue e le morti arrivano a spazzare via quel piccolo idillio, com’era ovvio che accadesse, ma il fatto che fossero prevedibili non li rende meno dolorosi. Lo spettatore spera che non succeda, anche se sa che succederà. E questo è un grande merito del regista e degli sceneggiatori, che riescono a farci entrare in empatia con la famiglia che ospita i nostri.

E allora si può parlare della dimensione emotiva e umana che permea Logan. Sicuramente abbiamo tre personaggi ben caratterizzati e fragili, assai distanti dal superomismo più spinto. Questa differenza è rimarchevole, ma trovo che si annidino qui le pecche del film. Sicuramente l’intenzione è nobile, ma tutto sommato quello che ci viene presentato è un ritratto a grandissime pennellate di un personaggio che al nono film ha davvero detto tutto (non che avesse moltissimo da dire). Wolverine non è Amleto, la sua personalità è semplice, perfettamente funzionale all’interno di un gruppo, ma in solitaria arranca un poco. Qui viene affiancato dal solo Xavier, oltre che dalla ragazzina che non parla quasi mai. Alla lunga emerge il fatto che la volontà di darne una raffigurazione più dettagliata e umana non va molto oltre al cambio di abiti, alla trasandatezza e alla barba folta. C’è molta estetica, molta esteriorità e contenuti limitati. Va bene, Logan è arrabbiato, deluso, arreso, ma non essendo presenti spiegazioni di quanto avvenuto negli anni precedenti al 2029 non possiamo davvero entrare in consonanza emotiva col personaggio. E anche l’assenza dei suoi compagni di sempre alla fine va a penalizzare i fatti, anche clamorosi, che si verificano nel corso del film.

Infatti, dopo un’ottima gestione della tensione e del ritmo nella fase iniziale e centrale, la regia inizia a perdere un po’ la giusta focalizzazione su fatti e sentimenti dei personaggi, non riuscendo a darne la giusta amplificazione. Questo si unisce a un copione che nei passaggi salienti si dimostra ampiamente imperfetto. Tutta l’ultima parte evidenzia alcuni difetti non di poco conto, come quelli già evidenziali: un personaggio non così interessante, l’assenza di spiegazioni dei fatti pregressi, un senso di “esilio” rispetto al resto della saga. I fatti narrati sono enormi, ma risultano smorzati dall’assenza di tutto il vero contesto degli X-Men.

Inoltre, a lungo andare l’impostazione scelta per i combattimenti mostra la corda: troppo insignificanti i soldati, troppo poco caratterizzato il cattivo di turno, troppo ripetitive le mazzate con X-24. Solo la presenza pervasiva del sangue mantiene la sua efficacia fino all’ultimo.

Un discreto film, che conferma la fertilità dell’universo cinecomic, ma al contempo non smentisce una certa difficoltà nell’arrivare a una vera eccellenza, a una piena dignità autoriale. Certo, Logan rimane un buonissimo e coraggioso tentativo.

7/10

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