C'è forse da chiedersi se sia , oggi, opportuno proporre un film dedicato al processo celebrato ai gerarchi nazisti a Norimberga, fra il 1945 e il 1946. L'evento fu alla base di una famosa pellicola dal titolo "Vincitori e vinti", realizzata da Stanley Kramer, mentre una serie televisiva, uscita anni fa, affrontava il suddetto evento giudiziario. Certo, la tematica è importante e ponderosa, se solo si pensa che il dibattimento si dipanò per molti mesi prima di giungere al verdetto finale. Nel caso di "Norimberga", diretto da James Vanderbilt, il risultato complessivo presenta luci e ombre, ma si può dire che valga comunque la pena vedere il film.

Basata sul libro ""Il nazista e lo psichiatra " scritto da Jack El Hai, la pellicola racconta quei mesi intensi in cui un collegio giudicante formato da insigni giuristi (fra cui il procuratore americano Jackson) in rappresentanza delle nazioni alleate aveva il compito di analizzare e giudicare i crimini di guerra commessi dalla Germania nazista. Ben noto quale fu il verdetto finale nei riguardi dei 22 gerarchi nazisti alla sbarra.

Meno noto, però, fu il lavoro di analisi che lo psichiatra statunitense, con grado di tenente colonnello, Douglas Kelley svolse intervistando i suddetti gerarchi per accertare se si trattasse di persone cosiddette normali che si erano trovate ad agire in modi scellerati date circostanze eccezionali, oppure fossero persone intimamente ed inesorabilmente sadiche e malvagie. Insomma, il male era qualcosa di peculiare solo di tali soggetti per definizione anormali?

In questo lavoro certosino Douglas Kelley nota che una persona come Hermann Goring ha una personalità complessa e ricca di sfaccettature, non priva di un certo fascino sinistro che fa di lui un uomo ambizioso, scaltro e manipolatore. E saranno ben queste caratteristiche a farlo perdere, poiché l'essere stato il diretto vice di Hitler non poteva impedirgli di avvallare tutte le nefandezze del regime nazista, soprattutto in materia di soluzione finale verso le comunità ebraiche condannate a perire nei lager. A ciò va aggiunto che lo psichiatra americano resta molto impressionato da un tale soggetto, come se vivesse quella condizione ben descritta da Nietzsche quando ammonisce a non ammirare a lungo l'abisso, che potrebbe poi essere anche in noi stessi.

Ho accennato prima a luci e ombre nel film di Vanderbilt che sono inevitabili se la materia affrontata è così ponderosa. Sicuramente, la pellicola ha un impianto classico hollywoodiano, peraltro non immune da certi aspetti romanzati dell'intreccio. Ci sono refusi storici laddove vediamo, tanto per dire, Goring che si consegna ad una pattuglia statunitense, quando il diretto interessato, potendo, se la sarebbe data a gambe per non essere catturato. E neppure si comprende come, durante una discussione fra giuristi alleati ( fra cui stranamente non figurano né francesi, né sovietici) si accenni all'invasione nazista della Norvegia nel 1944 (in realtà era già avvenuta nel 1940). Del tutto inventata, poi, la visita del procuratore Jackson in Vaticano per ricevere un supporto morale e politico da parte dell'allora Papa Pio XII (che, a differenza dei suoi successori, non era così alla mano e risultava alquanto ieratico e altero).

Ma se i difetti non mancano, non si possono omettere i punti di forza dell'opera. Tecnicamente il regista è molto abile nel creare un'atmosfera, fra carcere e aula di tribunale, molto claustrofobica ove i criminali nazisti sono ridotti a vivere malamente e meritatamente i propri giorni finali. A vederli così ridotti verrebbe proprio da chiedere: ma valeva proprio la pena esercitare così sadicamente tanto potere per finire, nel migliore dei casi, i propri giorni in cella oppure finire impiccati? Sono solo omini di nulla dignità quelli che vediamo come Hess che finge di non ricordare chi è stato e si porterà poi nella tomba i propri segreti. E che dire di Julius Streicher, prima tanto sprezzante che piange disperato come un bambino perché non vuole salire al patibolo e finirà per pisciarsi addosso?

Indubbiamente, in mezzo a tanta gentaglia, Goring si erge a titano dell'enigma chiamato "essere umano". Interpretato in modo sublime da Russell Crowe (candidato per l'Oscar), riesce quasi ad incantare perché si dimostra pure un padre di famiglia coscienzioso e preoccupato per le sorti della moglie e della figlia. Si direbbe un "paparino d'oro", che aveva però, fra i vari difetti, la passione di trafugare grandi quantità di opere d'arte sequestrate alle famiglie ebree inviate nei lager. Proprio un incredibile collezionista d'arte (a spese degli altri).

E i confronti fra lui e lo psichiatra costituiscono i passaggi migliori del film, con Rami Malek che, in veste di Douglas Kelley, cerca di decifrare il mistero di Goring. Nel caso della recitazione di Malek direi che è innegabile la diligenza di tale attore, ma Russell Crowe è veramente possente da oscurare tutto ciò che lo circonda. E, fedele alla parte, è tanto abile da ingerire il cianuro per evitare la forca, mentre sorte non meno tragica incontrerà Douglas Kelley che scriverà e sosterrà, fino al giorno del suo suicidio, che persone come i gerarchi nazisti (per niente eccezionali) possono essere ovunque se solo ognuno di noi si lascia andare agli istinti perfidi che albergano nell'animo dell'individuo

Resta in conclusione la consapevolezza che il monito lanciato all'umanità dal processo di Norimberga, nel corso del quale furono proiettati i filmati dell'apertura dei lager come si vede anche nel film, non abbia però impedito altri crimini nelle guerre successive al 1945. E ogni giorno ne abbiamo prove documentate.

Carico i commenti...  con calma