Jan Svankmajer, dicasi: "Artista e cineasta [...] è uno dei maestri riconosciuti della storia del cinema d'animazione (e non solo). Autore di decine di cortometraggi e di alcuni lungometraggi, realizzati nell'arco di oltre 40 anni, questo fantasmagorico animatore di oggetti e raccontatore di storie spesso inquietanti, ha saputo creare un immaginario di surrealistica quotidianità, in cui l'ossessione cannibalica per il cibo, la vocazione al collezionismo da wunderkammer cinquecentesca, un erotismo e un voyeurismo bizzarri, si mescolano indissolubilmente dando vita a un cinema dell'inconscio e della metamorfosi" (Gianluca Aicardi)
Un genio, e facciamo prima. Se non avete mai visto la sua versione di "Alice nel paese delle meraviglie", titolata semplicemente "Alice" (1988) vi siete persi un pezzo di cinema che nessuno aveva mai sfiorato e nessuno replicherà più. Niente stop motion convenzionale, niente animazione classica: qui non siamo nel mondo Disney, e nemmeno nel mondo burtoniano di "Nightmare before Christmas", qui siamo in un campionato diverso, in un girone di sola andata che appartiene (o meglio, è appertenuto) solo a Jan Svankamajer (è ancora vivo, sia chiaro, ha 91 anni suonati, ma è dal 2001 che non produce più nulla: peccato). Uno come Terry Gilliam lo innalzò a proprio guru, per dire. E poi c'è quella famosa definizione che ne diede quel critico americano, Anthony Lane, sul "New Yorker": "Il mondo si divide in due categorie di diversa ampiezza… quelli che non hanno mai sentito parlare di Jan Švankmajer e quelli che hanno visto i suoi lavori e sanno di essersi trovati faccia a faccia con un genio".
Svankmajer utilizzava un tipo di stop motion tutta sua: tradotto faceva muovere le cose, animava l'inanimabile, dava vita a oggetti senza vita. Caratteristiche principali: suoni violentissimi e cibo (presente in ogni sua opera); sequenze velocissime atte a sfidare l'occhio, e dunque l'attenzione, dello spettatore; oggetti inanimati che prendono vita senza, spesso, soluzione logica. Ora, se la cosa vi ha incuriosito beccatevi questo link (visione consigliata prima di proseguire la recensione): https://www.youtube.com/watch?v=L-gGpWpra-g.
In 11 minuti vi sono tre sequenze.
Prima.
Ispirandosi all'arte dell'Arcimboldo, due teste composte da molti oggetti s'incrociano per dieci volte consecutive. Ad ogni incontro si mangiano a vicenda, fino a diventare omogonee e similari. Il cibo, l'ossessione del nutrirsi. In primis.
Seconda.
Amplesso sessuale fra maschio e femmina connotati in forma di plastilina. A fine amplesso, ecco spuntare un frammento di plastilina che accentua una lite tra le due figure principali e la loro relativa separazione.
Terza.
Due teste maschili tirano fuori dalla bocca oggetti di varia natura (quasi vomitandoli). Tali oggetti vanno in contrapposizione tra loro creando una impossibilità di dialogo. Ecco dunque il senso dell'opera, e del titolo: in tutti e tre i casi appare impossibile l'interazione umana (anche se spesso non sono umani gli oggetti ivi rappresentati): l'uomo non dialoga, "vomita" addosso all'altro le proprie convinzioni e convenzioni sociali e ha due sole possibilità: separarsi, o inglobare l'altro rendendolo, di fatto, un suo doppio.
Oppure, come ebbe a dire il critico Dirk de Bruyn: "Questo è il nostro mondo digitale allestito nel 1982". E faccio mie le parole di Regina Pessoa, che nel 2011 al 29° Bergamo Film Meeting affermò: "L'ho riguardato mille volte... sono ancora affascinata". Meglio ancora la definizione che ne diede Morando Morandini: "Azione, passione, devastazione: un trittico realistico sulla condizione umana".
Dunque perchè tra tanti suoi cortometraggi (o lungometraggi) scegliere proprio questo. Qui la scelta si fa, evidentemente, più personale: è il suo primo che vidi molti anni fa, è quello che più mi è rimasto in memoria (e, va detto, non è nemmeno il suo più bello) ed è forse quello più disperato, ma non di Svankmajer, proprio del cinema in senso generale. Trovo che un'opera tanto geniale quanto disperata, tesa a raccontare ciò che si è soliti nascondere, e che non lascia alcuna traccia di positività (questo è il mondo, questi gli esseri umani), raccontato attraverso la più particolare, e innovativa, tra tutte le animazioni possibili sia un colpo di genio impossibile da replicare (e infatti non l'ha replicato nessuno).
Di Svankmajer consiglio altre opere, ma esiste tutto un mondo che ruota intorno all'animazione dell'Est degli anni '70 e '80 che (quasi) nessuno conosce al di qua della cortina di ferro (un altro nome da tenere a mente è quello di Jurij Norštejn, autore di alcune favole in chiave animiata che sono tra le cose più belle mai viste su pellicola, compreso il suo apogeo che fu "Il racconto dei racconti" anno 1979). Chi fosse interessato, è in commercio (sia lode alla Raro Video) in 2 DVD "Il mondo di Jan Svankmajer", 14 cortometraggi compresi tra il 1964 e il 1989, tra cui quello qui recensito. Il resto è plastilina.
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