Una bella sfida sportiva, un film che ne è la piana trasposizione. Un lavoro che non fa granché per arricchire e sfaccettare la vicenda, ma forse non si poteva fare molto di più. La mia sensazione è che le pellicole di sport, e di certi sport in particolare, non siano per niente facili da fare bene e infatti non se ne sono mai fatte o quasi. E il tennis rientra sicuramente tra questi.

Non perché sia uno sport brutto: come si dice nel film, ogni partita è come la vita, ma è praticamente impossibile raccontarlo in modo cinematograficamente fresco. Pim-pum, pim-pum, la ripetitività la fa da padrone e nella trasfigurazione filmica manca pure il coinvolgimento emotivo e l'effetto sorpresa. Non arriva quindi inaspettato il fatto che la parte sul match finale Borg-McEnroe sia quella esteticamente più debole del film. Ne è la prova la necessità di affidarsi continuamente alle cronache dei commentatori, che infarciscono la messa in scena di tante frasi fatte. Che non aiutano.

A dire il vero, non è tutto da buttare in Borg McEnroe. Pur con una grammatica e uno stile elementari, ha qualcosa da dare. Ed è il rovello febbrile di un ragazzo ossessionato dalla vittoria. Una forza inscalfibile, disumana, che in realtà cela una fragilità totale. È quello il tema: la malattia dell'ossessione agonistica e i diversi modi per esorcizzarla. C'è chi interiorizza tutto e chi sputa fuori il veleno. In fondo i due rivali sono uguali: due bambini difficili, due persone che non si sono mai adeguate ai contesti e hanno catalizzato le loro energie verso un grande obiettivo sportivo.

I ritratti, soprattutto quello di Borg, sono apprezzabili, ma tutto sommato gli elementi caratteriali in gioco non sono molti e vengono riproposti per un ampio minutaggio, con poche variazioni. Non c'è una storia da raccontare, ma "solo" una finale di Wimbledon che si avvicina e la tensione che cresce. I flashback si sprecano e alla lunga annoiano, diventano stucchevoli. Un ordito narrativo che si fa quindi rarefatto e sempre meno interessante, una volta esplorati i tratti essenziali delle due personalità.

Si poteva allora dedicare più spazio a McEnroe, oppure a quello che successe dopo quella finale del 1980. Invece si chiude con l'apogeo di Borg, tagliando fuori la successiva caduta del dio del tennis. E per quanto non manchino episodi discutibili nell'atteggiamento di Björn, si comprende nel finale il carattere celebrativo della produzione. Eppure la vita del tennista negli anni successivi ha visto altri episodi significativi, al di là del tennis.

Focalizzandosi su Borg, si poteva concepire una narrazione più tagliente, ma sarebbe servita la regia di un cineasta d'altra levatura. E i grandi del cinema evitano certi film sportivi, perché probabilmente ne comprendono anzitempo le difficoltà realizzative.

6/10

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