Curtis è un operaio, è sposato con Samantha e ha una figlia, Hannah, sordomuta dalla nascita. Curtis lavora per tenersi stretta l'assistenza medica che aiuta la sua famiglia nei pagamenti delle cure a sua figlia, anche se il denaro da sborsare è comunque cospicuo. Ma non c'è solo questo: ci sono anche sogni e visioni di temporali, tuoni, uccelli che muoiono improvvisamente e una tempesta "acida" di proporzioni bibliche. Curtis è assillato da questi avvenimenti. Sono solo nella sua testa e lui è il pazzo del paesino, tanto più che sua madre, all'incirca alla sua stessa età, fu colpita da schizofrenia. Curtis decide di chiedere un prestito e costruire un rifugio sotternaeo, unica salvezza per la sua apocalisse imminente. Curtis è pazzo o non lo è?
Riprese panoramiche, lenti movimenti di macchina, colonna sonora di "cesellatura" e importanza delle immagini: "Take shelter" di Jeff Nichols (2011) vive di tutto ciò. Ritmo compassato, rifiuto dell'azione, dialoghi mai troppo "tirati". Nichols fa parlare le immagini prima di tutto: dalle visioni simil oniriche di Curtis, al verde della provincia americana. Ogni singola inquadratura sembra essere studiata come l'ultima della carriera di Nichols.
Michael Shannon, attore straordinario ancora poco conosciuto dal "grande" pubblico, torna ad impersonare un uomo con problemi psicologici, come già gli era accaduto per film come "Revolutionary road" e "My son, my son, what have ye done", senza dimenticare il suo ambiguo Van Alden nella serie "Boardwalk Empire". Shannon riesce a plasmare un personaggio amorevole con la sua famiglia ma allo stesso tempo scontroso, che agisce senza apparente razionalità, che viene visto come il pazzo della comunità. Perde il lavoro, perde un suo amico, non si cura delle rassicurazioni di suo fratello. Perchè la tempesta sta arrivando e quel rifugio deve essere completato prima della fine di ogni cosa. Così la vita di Curtis LaForche, operaio edile, diventa la metafora del lavoratore medio americano: alienato dal suo mestiere, messo in crisi dalla sua mente e capace di dilapidare i soldi messi da parte con sacrifico per portare a termine il suo obiettivo. Come non rintracciare nella figura di Curtis il simbolo umanizzato della crisi che ha colpito gli Stati Uniti e il resto del mondo? Come non rintracciare nelle visioni temporalesche apocalittiche un monito verso la nostra società?
"Take Shelter" potrebbe essere il "prima" del libro "La strada" di Cormac McCarthy, la premonizione del disastro. Perchè in quel finale così meraviglioso e che rimette in discussione le due ore di pellicola, c'è lo sguardo grigio verso l'avvenire dell'uomo.
Un film che va visto e assaporato in ogni minimo dettaglio. Parlarne oltre è fuorviante per chi non l'ha ancora visto. Pellicola consigliata, per un'opera intima, sussurrata, mai sopra le righe. Un film necessario.
Riprese panoramiche, lenti movimenti di macchina, colonna sonora di "cesellatura" e importanza delle immagini: "Take shelter" di Jeff Nichols (2011) vive di tutto ciò. Ritmo compassato, rifiuto dell'azione, dialoghi mai troppo "tirati". Nichols fa parlare le immagini prima di tutto: dalle visioni simil oniriche di Curtis, al verde della provincia americana. Ogni singola inquadratura sembra essere studiata come l'ultima della carriera di Nichols.
Michael Shannon, attore straordinario ancora poco conosciuto dal "grande" pubblico, torna ad impersonare un uomo con problemi psicologici, come già gli era accaduto per film come "Revolutionary road" e "My son, my son, what have ye done", senza dimenticare il suo ambiguo Van Alden nella serie "Boardwalk Empire". Shannon riesce a plasmare un personaggio amorevole con la sua famiglia ma allo stesso tempo scontroso, che agisce senza apparente razionalità, che viene visto come il pazzo della comunità. Perde il lavoro, perde un suo amico, non si cura delle rassicurazioni di suo fratello. Perchè la tempesta sta arrivando e quel rifugio deve essere completato prima della fine di ogni cosa. Così la vita di Curtis LaForche, operaio edile, diventa la metafora del lavoratore medio americano: alienato dal suo mestiere, messo in crisi dalla sua mente e capace di dilapidare i soldi messi da parte con sacrifico per portare a termine il suo obiettivo. Come non rintracciare nella figura di Curtis il simbolo umanizzato della crisi che ha colpito gli Stati Uniti e il resto del mondo? Come non rintracciare nelle visioni temporalesche apocalittiche un monito verso la nostra società?
"Take Shelter" potrebbe essere il "prima" del libro "La strada" di Cormac McCarthy, la premonizione del disastro. Perchè in quel finale così meraviglioso e che rimette in discussione le due ore di pellicola, c'è lo sguardo grigio verso l'avvenire dell'uomo.
Un film che va visto e assaporato in ogni minimo dettaglio. Parlarne oltre è fuorviante per chi non l'ha ancora visto. Pellicola consigliata, per un'opera intima, sussurrata, mai sopra le righe. Un film necessario.
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