I Jefferson Airplain tutti sanno chi sono. Ah, si scrive Airplane?

Dicevo, i Jefferon Airplane li conoscono tutti. Per quanto mi riguarda, quando cominciai ad ascoltare i loro dischi, mi lasciarono piuttosto indifferente. "Tutto qua?", mi dicevo, "Ammazza, sono invecchiati maluccio", "Questa sarebbe psichedelia? Se mai è un folk/blues suonato sotto acido", sproloquiavo.

Fortunatamente io mi fido cecamente di tutto ciò che c'è scritto nell'internet; e nell'internet se ne parla un gran bene di questi Jefferson Airplain (e dai, Airplane!). Così continuai ad ascoltare la loro musica, e ad ogni ascolto, come per magia, il mio amore per questo gruppo continuava a crescere.

E cresci che ti cresci sono arrivato al punto di prendermi la briga di recensire questo loro disco, da molti considerato un episodio minore, per sostenere che episodio minore poi non lo è così tanto.

Il periodo d'oro dei Jefferson, concordano tutti, si esaurisce con Volunteers (1969, giusto in tempo per Woodstock); e dopo? La diaspora? La pensione anticipata? No. Le varie anime del gruppo si separano e ognuno segue la sua strada; queste strade molto spesso però fluiscono e rifluiscono l'una nell'altra, si intersecano, continuano il loro viaggio non perdendosi mai troppo di vista. Il gruppo di artisti (ma direi, amici) protagonista della summer of love non si disperde e sono frequenti le ospitate nei dischi dei vecchi compari: insomma, il cammino continua anche se lontano dai riflettori. 

E così arriviamo al 1971, e sembrano passati secoli. I Jefferson Airplane si riformano (non sarà certo l'ultima volta) e partoriscono questo Bark: della formazione storica mancano all'appello Marty Balin e Spencer Dryden e viene aggiunto un violino, nella persona di Papa John Creach

Il disco si apre e si chiude con due inni corali in pieno stile Jefferson Airplane (Kantner) "When the Earth Moves Again" e "War Movie": sono due canzoni molto ispirate con un bell'impasto vocale e dei testi che ancora non abbandonano del tutto il sogno hippie.

Con "Feel So Good" si respira aria Hot Tuna; Kaukonen infatti qui se la canta e se la suona, e direi che lo fa bene dato che il risultato finale è molto piacevole. L'atmosfera è rilassata ma frizzantina allo stesso tempo: personalmente apprezzo molto i corretti kitsch nel finale. Kaukonen si conferma un buon autore anche più avanti nell'ascolto: è sua anche "Third Week in the Chelsea", una tranquilla e semplice canzone folk.

"Crazy Miranda": è la volta di Grace. Altera e sarcastica come suo solito, in questo disco (qui e nell'altra sua canzone "Law Man") risulta però a mio modo di vedere un po' sottotono rispetto alle sue glorie passate. Rimane comunque un gran bel sentire. 

Uno dei momenti migliori dell'album è rappresentato dal dittico "Pretty as You Feel"/"Wild Turkey". Nella prima si respira un'atmosfera alla David Crosby, con la chitarra erotizzante di Santana, mentre nella seconda (strumentale) ci arriva una bella botta di energia. Sarà per il violino, ma a me ricorda un po' lo Zappa di Hot Rats.

Prima del finale, anche una ventata di sperimentazione: in "Never Argue With a German if You're Tired of European Song" sembra di sentire cantare Nico mentre "Thunk" è l'esperimento divertissement  del batterista neoassunto (tanto per continuare la tradizione e non fare rimpiangere gli sketch di Dryden).

Dopo tutto questa po' po' di recensione quindi che dire? Bark è un bel disco, le belle canzoni le ha, l'atmosfera giusta anche. C'è quel tocco di novità che può incuriosire ma senza stravolgere tutto il sound JA. Viene un po' snobbato perchè è uscito in ritardo rispetto al periodo d'oro dei classiconi: ma volete fargliene una colpa? Ascoltatelo!

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