STORIA IN UNA RECENSIONE
1°anno di università, 2010-2011, alla Facoltà di Lingue a Genova avevo affrontato in Letteratura Inglese gli scrittori dall’ultimo dopoguerra ad anni più vicini a me che avevano raccontato gli effetti sconvolgenti della modernizzazione sulla società inglese, e soprattutto nel caso di Ballard con la sua particolare fantascienza distopica (che vista in generale nelle opere di tutti gli scrittori, come H.G.Wells e George Orwell, mostrava una società del futuro violenta e schiava di sé stessa) da prevedere una umanità incapace di ragionare e ridotta nei desideri e nelle reazioni al livello dei selvaggi e dei bambini (e ancora altro).
In tutto il materiale che l’insegnante aveva dato a noi studenti per l’esame c’erano due romanzi di Ballard, uno per tutti (‘Il condominio’) e un altro a scelta fra due titoli (‘Millenium People’ e ‘Regno a venire’), tutti in inglese.
Per i libri avevo scelto ‘Millenium People’, essendomi messo d’accordo con un compagno di dividere la spesa per i due libri che avrebbe comprato su Amazon (non essendoci nell’unica libreria universitaria in città), e per curiosità avevo comprato ‘Regno a venire’ usato, in inglese, da una studentessa qualche mese dopo e leggendolo nell’Estate del 2012 nel luogo delle mie vacanze estive in Calabria.
La storia é questa: un pubblicitario, Mark Pearson, si trasferisce da Londra a Brooklands, una piccola città sull’autostrada per l’aeroporto di Heathrow, per indagare sulla morte del padre, ucciso in una sparatoria dentro un grande centro commerciale, il ‘Metrocentre’.
Nelle sue indagini scopre una realtà inquietante: la vita della gente della città é controllata e guidata dal centro commerciale che con i suoi continui messaggi la convince ad andare là e comprare, in un sistema di consumo senza fine.
Ma c’é un gruppo di persone in posizioni importanti (come un avvocato e un sergente di polizia) che tenta di mettere fine al centro commerciale e a quel sistema, con un finale tragico.
Intervistato in un famoso programma di divulgazione inglese (il nome é nelle note nel commento di ‘This is a low’ dei Blur) poco dopo l’uscita del libro Ballard spiegava che questo romanzo mostrava come il consumismo fosse l’unico valore a tenere uniti e mostrare l’identità degli inglesi, dove altre realtà come la politica e la religione avevano fallito.
Ma con la conseguenza di lasciare un vuoto spirituale che la gente avrebbe potuto tentare di riempire con degli atti di violenza irragionevole per dare un senso all’esistenza.
Mentre leggevo il romanzo con la mente mi sembrava di assistere a un film poliziesco americano con un po’ di azione, come quelli della fine degli anni ’90 – primi anni 2000, se si pensa che dalla seconda metà degli anni ’90 Ballard, da ‘Cocaine Nights’, aveva usato per scrivere i suoi romanzi una specie di ‘crime story’ come forma per raccontare le sue storie e fare conoscere il suo pensiero sulla società e sul mondo.
Non avrei pensato che ‘Regno a venire’ sarebbe diventato un libro importante per la mia vita, da segnarmi come molta musica Pop che ho ascoltato da bambino a quando ero giovane pochi anni fa, partendo dai luoghi dove é ambientata la storia che mi ricordavano Londra e un paese un po’ fuori dove avevo vissuto un breve periodo di lavoro nel 2009, quando vedendo per le strade quasi solo case e negozi provavo un po’ di monotonia e, forse, noia.
Ma 3 anni dopo quel periodo, mentre leggevo il libro su un braccio di mare in Calabria, una piccola esperienza sarebbe stata importante per la mia vita: era un pomeriggio ed ero stato catturato da una frase particolare, almeno per me.
La frase era:
‘Il grande sogno dell’Illuminismo, cioé che un giorno la ragione e l’egoismo razionale avrebbero trionfato, ha portato direttamente al consumismo dei nostri giorni’.
Un fenomeno ‘popolare’ come il Consumismo (come lo conoscevo io, almeno nella storia del nostro paese negli anni ’60) aveva a che fare con un movimento di teste pensanti del ’700, di classi alte (nobili e borghesi), che avevamo studiato a scuola (i famosi Voltaire, Montesquieu, Diderot, Rousseau…)?
Ero così curioso che, essendo ancora periodo di esami anche se ero già in vacanza, avevo mandato una mail alla mia insegnante di Letteratura Francese con cui avevo studiato l’Illuminismo in quel periodo per chiedere delle spiegazioni e per lo stesso motivo qualche altro contatto dopo, finché 3 anni dopo dal primo non avevo scritto la tesi per la prima laurea partendo da quella frase.
Che si riferisce al Commercio: secondo tre autori (Montesquieu, Voltaire e Diderot) questo era la soluzione per i problemi di una nazione e per i suoi rapporti con le altre, garantendo pace, libertà e benessere a tutti, in un tempo, il ’700, dove la Francia affrontava vari problemi dentro e fuori, a tutti i livelli (sociale, economico e politico), fino allo scoppio della Rivoluzione nel 1789.
Per arrivare al Consumismo come lo conosciamo noi erano stati distorti i principi della visione degli autori in nome del solo guadagno, e tutto era iniziato in America poco dopo la fine dell’ultima guerra mondiale creando una economia di enorme e rapida produzione e consumo di prodotti e di veloce sostituzione di molti di questi, e così di nuovo, per riempire in breve tempo di fondi le casse dello Stato, dopo molti investimenti per la partecipazione del paese alla guerra (si era nella ‘Guerra Fredda’ e tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica – i russi comunisti – che controllavano l’Ovest e l’Est Europa, facevano a gara a chi diventava il più forte).
Dove eravamo noi Italiani, nell’ovest, gli Americani (il loro governo) avevano portato il loro modello di società con gli aiuti per ricostruire i paesi distrutti dalla guerra, promettendo che consumando ci sarebbe stata la felicità.
Niente di più sbagliato: in Italia c’era stato solo il benessere economico; e infatti non pochi personaggi del mondo della cultura (come Pierpaolo Pasolini, il famoso scrittore, per esempio in ‘Scritti corsari’, un libro di suoi articoli di inchiesta sulla società italiana degli anni ’70, ma con collegamenti con gli anni ‘60 – cercate ‘Acculturazione e acculturazione’) e fra la gente comune (come il movimento di protesta del ’68 – il famoso slogan ‘Produci consuma crepa’).
Ma poco é cambiato da allora: nell’anno che scrivevo la tesi avevo spesso sentito notizie di file di persone davanti ai megastore delle grandi aziende di telefonini o computer per comprare l’ultimo modello appena uscito (qualcosa di simile oggi succede durante il ‘Black Friday’ e credo sappia di consumismo l’uso delle app di consegna di cibo pronto come ‘Deliveroo’).
E chi c’é a criticare? Il filosofo Umberto Galimberti e lo psicologo Paolo Crepet.
In modo sorprendente quasi 10 anni dopo dalla laurea in qualche classe di Marketing di una scuola superiore dove sto insegnando Francese ho parlato dell’argomento della tesi.
Per renderlo più interessante ho aperto e chiuso le lezioni con due video musicali: il primo é di un brano degli Sleeper – un gruppo del periodo Britpop dei Blur e degli Oasis –, ‘Inbetweener’, girato in parte in un supermercato; il secondo é il montaggio di un brano poco conosciuto, credo, di Lucio Battisti, ‘Supermarket’ – del periodo di ‘Pensieri e parole’ – dove nel testo si nota che il consumismo é entrato in una storia d’amore.
Ma di più: parlando della pubblicità, ho letto dei passaggi dal libro di Begbeider (‘Lire 26.900’) che ho recensito pochi mesi fa e ho spiegato sull’album degli Who ispirato e in parte dedicato alla pubblicità, ‘The Who Sell Out’, del ’67, traducendo le scritte sulla copertina e facendo ascoltare e traducendo delle canzoni.
Davvero incredibile che solo per una frase é successo tutto questo.
Grazie Ballard.
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