Ho conosciuto Joe Bonamassa da poco, grazie ai soliti passaparola con i miei amici musica-dipendenti, e l'aver ascoltato gli ultimi due suoi album, "Hard to cry" e "You and me" hanno confermato quanto di buono mi veniva raccontato riguardo questo chitarrista che si pone al confine tra il rock e il blues, eletto tralaltro bluesman dell'anno.

Sempre grazie ai passaparola ho saputo che suonava alla Stazione Birra alle porte di Roma e non potevo mancare all'appuntamento.

Partiti da Latina con un tempo così brutto che consigliava a tutti di rimanere nelle proprie case a guardare Matrix, siamo giunti in tempo per assistere ad uno dei migliori concerti che ho visto negli ultimi anni a livello di club.
L'affluenza nel locale è buona, almeno 5-600 persone, nello schermo viene proiettato il concerto che un altro mostro sacro come Tony Levin ha tenuto proprio nel locale poco tempo fa.
Verso le 22.30, dopo un attesa neanche tanto lunga salgono i nostri sul palco: Joe Bonamassa questa sera è accompagnato da basso e batteria per formare un powetr trio.

Più che fare la solita lista dei brani eseguiti, vorrei focalizzare l'attenzione sul concerto.

E' tutto perfetto: l'acustica, e da queste parti non è cosa da poco, è una meraviglia; si distinguono alla perfezione gli strumenti e il suono della Les Paul di Joe sembra quasi registrato.
I brani che i tre propongono è un rock blues radicato nei Seventies con  parti ritmiche che spesso rimandano ai Cream e ai Led Zeppelin dei primi album nei quali il connubio rock blues era molto forte. Non a caso verso la fine del concerto durante l'assolo di un suo pezzo, Joe infila il giro di niente meno che "Dazed And Confused", uno dei brani che rese celebri proprio i Led, creando una vera ovazione tra i presenti, la maggior parte dei quali reduci proprio da quel mitico decennio.
Il concerto prosegue senza cali di tensione, a pezzi più duri vengono contrapposti classici giri blues dove l'improvvisazione la fa da padrona: e Joe Bonamassa stupisce, emoziona, diverte. Perché ha una tecnica davvero invidiabile, non si limita a suonare le pentatoniche in tutte le salse, sa fare molto di più, sa cantare anche discretamente, con linee vocali abbastanza alte e sporcate di blues; soprattutto sa coinvolgere il pubblico.
Tanti chitarristi ti mostrano come sono bravi a suonare e dopo mezz'ora di concerto si va in overdose di note... lui invece ha curato tutto: ogni canzone ha il colpo ad effetto, che può essere uno stacchetto particolare all'interno del solo, oppure abbassare improvvisamente le dinamiche, così tanto da richiedere il totale silenzio in sala per sentire un assolo fatto sfiorando appena le corde con il plettro.
Spesso invita la gente presente a seguirlo nei cori; anche se il suo americano a volte è incomprensibile, tutti noi cerchiamo quanto meno di emulare la linea vocale.
Non solo, nelle parti cantate spesso preferisce lasciare la chitarra e gesticolare, stringere i pugni o mettere la mano al petto, per dare più enfasi alle parole. Molto blues!
Anche con la chitarra acustica non scherza: accordata col drop D usa lo slyde con una velocità disarmante, oltre ad usare spesso il finger picking sia con l'acustica che con l'elettrica.

I compagni d'avventura sono due ottimi musicisti, che dimostrano il loro talento non solo quando è il tempo delle presentazioni, con i classici assoli di batteria e basso, ma anche nel semplice accompagnamento, preciso e quadrato.
Dopo un'ora e mezza Joe ci saluta, lo salutiamo anche noi felici di aver assistito ad un bel concerto: la musica proposta non è originale, ma è di ottima fattura... e di questi tempi non è poco.

P.S.: pare che le riprese del live saranno usate per confezionare un Dvd ufficiale!

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