Prendete un novellino, uno che passava di lì, senza arte né parte, lo scemo del villaggio, come volete. Che gli fareste fare a uno così, se foste a capo di una multinazionale? Di sicuro non prendereste in considerazione di assumerlo (capirai...) per nessuna ragione al mondo, massimo massimo uno che smista il carico della posta in magazzino. Ma solo se è un raccomandato dall'imperatore. Cioè da uno che nella scala gerarchica lavorativa occupa il posto del direttore megagalattico, un Servelloni Mazzanti Vien dal Mare, per capirci.

Beh, Norville è il nostro uomo. Risponde in pieno alle caratteristiche di cui sopra, con un'aggravante: è veramente tonto. "Non fa un chilo". Tim Robbins, alto e goffamente imbranato, interpreta a meraviglia il protagonista di Mr. Hula Hoop ("The Hudsucker Proxy"), opera ingiustamente sottovalutata della cinematografia dei fratelli Coen - Joel regista, Ethan alla sceneggiatura - con Paul Newman nel ruolo del comandante in capo. In questa commedia divertente, dove il paradosso e il grottesco sono la normalità e dove è possibile fermare il tempo e imbalsamare luoghi e persone, capita che uno come Norville Barnes venga preso come fattorino e il giorno dopo si trovi a dirigere tutta l'azienda. E che azienda: le industrie Hudsucker.

Il colosso nella produzione di giocattoli e gingilli per l'intrattenimento di una città imprecisata negli Stati Uniti. Un posto dove se non incrementi il fatturato di milioni di dollari da un anno all'altro sei sbattuto fuori a calci nel culo e arrivederci all'inferno. Ora, perché è successa una cosa del genere? Soltanto per un motivo: il giorno prima dell'arrivo di Norville il presidente anziano, un vecchio mummificato, si schianta gettandosi dal centesimo piano del palazzo e i sottoposti, squali da competizione, hanno bisogno di un pollo da piazzare sulla poltrona più importante in modo da condurre l'azienda in rovina e ricapitalizzare. Chi meglio del tonto? Sarà Newman a fargli fare apprendistato. Ma Norville ha in serbo una sorpresa (pur non essendone consapevole): da un cerchione di plastica scartato si inventa l'hula hoop, destinato a grande successo tra le masse gaudenti degli anni '60. E' la consacrazione del pivello. Un uomo capitato per caso in una situazione più grande di lui. Il film è splendido nella descrizione della scalata ai piani alti di un'industria. Uffici e grattacieli dipinti con la tecnica del fumetto, per ingigantire il senso di angoscia e sopraffazione, la repentina caduta del vecchio: da sbellicarsi la rincorsa verso il vuoto e lo sfracellarsi a terra, così "inevitabile" dopo un fallimento altrettanto rumoroso.

Newman è la maschera del potere, con lo sberleffo dei Coen. Scrivanie, orologi, il GRANDE OROLOGIO CONTAMINUTI implacabile, ogni cosa è portata agli estremi. Tutto per rendere l'idea dell'ordine gerarchico, un ordine granitico, impossibile da aggirare. Ma ci sono i Coen a scardinare tutto. Jennifer Jason Leigh qui è una ragazza intraprendente che si innamora di Norville e con un istinto da crocerossina lo aiuta a far valere le sue idee. Ha un problema grosso: una logorrea incontenibile, unita a un gesticolare continuo, da ballo di San Vito. Ma nei personaggi tirati all'eccesso tipici dei geniacci Coen ha un senso anche lei.

A me ha ricordato un po' "Una poltrona per due", per la scommessa fatta ai danni del barbone Eddie Murphy e del broker Dan Aykroyd.

Grandi Coen. Delizioso.

 

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