Quando viene chiesto a Charlie Haden cosa ci voglia per diventare un bravo jazzista, invariabilemente egli risponde che prima di tutto viene l’essere un ottimo essere umano.

In questo disco uscito da poco, il cui titolare è Joey De Francesco, si respira un’aria di relax e totale “fairness” nonché rispetto tra evidenti grossi calibri. Il dialogo intenso e serrato tra strumentisti si riflette invariabilmente sulla qualita’ e sullo spessore della proposta artistica in questione. Il titolo “Organic vibes” è un riuscito gioco di parole che include l’organo, strumento di Joey, e il vibrafono (vibes), strumento di Bobby Hutcherson, uno dei riconosciuti maestri nel campo.

Abbondanti note di cover ti predispongono ad entrare nel mondo di questa musica, aggressiva ed… ‘a bolle’ al tempo stesso, contenuta nel disco. Ron Blake interviene a sax e flauto, Jake Langley mette due spruzzate di chitarra qua e la mentre Byron Landham percuote e marca il tempo sui tamburi. C’è anche un lucido e melodico George Coleman al sax in 4) e 6). Va detto che Joey è l’erede ufficiale di Jimmy Smith, scomparso da poco e ne onora degnamente la tradizione, suonandone il medesimo Hammond B-3 del 1959.

1) ”The tackle” apre il disco con un ritmo veloce e ci fa capire come possa suonare moderno e fresco un disco di jazz che includa il contributo di giovani generazioni (tutti attorno ai 35/40) ma anche un vecchio animale da palcoscenico come Hutcherson, cui Joey in segno di dovuto rispetto lascia uno spazio preponderante nell’ ambitro dell’ intero disco. Già da questo brano inizialmente si individua una grossa capacità melodica ed una sapiente gestione di interi e veloci clusters di note in alternanza a note invece più sostenute da parte di Bobby. Solo di sax e organo per un brano da autostrada.

2) “Little B’s poem” è un brano più lieto e tranquillo, che si apre con l’esposizione del tema eseguito dal flauto. Interazione tra strumenti e cambi molto precisi, con quest’ aura di vibrafono che fa da protagonista in un tema complesso ma scorrevole. Musica del 2006. Ma anche musica del 2500, secondo chi scrive. Il solo di flauto dopo il vibes è pregevolissimo. Di De Francesco preferisco non parlare, in quanto va solo ascoltato e gustato. Con un bicchierino di Malvasia in mano e moglie e figli fuori di casa.

3) “I thought about you” è una lenta ballad in cui l’andamento sinusoidale dei toni generati dalle note più lunghe del vibrafono, che espone il tema, ti risuonano nei padiglioni auricolari ed invadono la stanza di calore. Mezzo brano al vibes e mezzo all’organo, per un contrasto complementare di giusti timbri. Ripresa da brivido dei mallet per chiusura di un piccolo capolavoro dell’arte.

4) “Somewhere in the night” include il primo cameo di George Coleman col suo sax melodico e tranquillo. Non è Di Battista ne’ Parker, ma in un contesto del genere non stona. Il centro del disco comunque rimane Hutcherson. È ora che confessi la mia costernazione e il profondo odio che provo verso De Francesco, che con la sua mano sinistra riesce (come ogni bravo organista dovrebbe) a non far sentire l’assenza di un buon solido basso nel disco. Intervento di chitarra alla Herb Hellis. Brano giocato su un medio tempo

5) “Down in the hatch” rialza il tiro ed il clima: un tema molto simile alla “Freedom jazz dance” di Eddie Harris apre le porte all’esecuzione di un blues tirato e lucido. Solo di sax, solo di una chitarra moderna, molto alla Mike Stern, con abbondante chorus, e solo d’organo da lezione assoluta alla fine.

6) “Speak low” ci restituisce un George Coleman in gran forma per un’esecuzione molto veloce e godibile. Tappeto d’organo imbattibile di fondo. Bellissimo.

7) “Je Neane’s dream” ti tocca l’amigdala con un dialogo tra vibrafono e chitarra durante l’esposizione di un bellissimo tema medio lento che poi sfoga in un solo di vibrafono assolutamente significativo. Con uno strumento dalla gestione fisica così difficile è veramente rimarchevole la capacità di tenuta che Hutcherson gli conferisce rispetto ad un altro strumento come l’organo che potrebbe risultare invadente e fagocitare tutto e tutti. Ma qui giocano esperienza, classe e senso della musica. Che sgorga copiosa e rinfrescante.

8) “My foolish heart” è forse per chi scrive il pezzo forte dell’album, sebbene sia oggettivamente difficile poterlo veramente dire in una così ampia messe di pezzi da riascoltare “back to back” in una serata in cui ti gira. Un solo di vibrafono ispiratissimo e pieno di pathos va dall’inizio alla fine. Omaggio al grande Hutcherson da parte di Joey.

9) “Colleen” è un pezzo di De Francesco dedicato alla moglie; veramente bello. Tema eseguito da altosax e chitarra all’unisono che preludono a soli di sax alto, chitarra ed un organo scatenato sino alla fine, con ripresa del tema e fine.

Un bellissimo disco, che ci presenta l’intreccio particolarmente riuscito di due strumenti comunque ben radicati e presenti nella tradizione jazzistica, seppur (a torto) non molto frequentati dalla massa dei players internazionali. Forse gioca un ruolo l’ingombro? A tal proposito un piccolo aneddoto: Lester Young iniziò a suonare come batterista, ma passò quasi subito al sax quando realizzò che a fine serata, alle tre di notte, i sassofonisti con lo strumento sottobraccio se ne andavano rapidi con le pupe, mentre lui doveva smontare la batteria, caricarla in macchina o sul taxi, portarla a casa etc. !!!!!

Organic vibes, boys!!!!

Bobby Hutcherson
http://www.bluenote.com/artistpage.asp?ArtistID=3257&tab=1

Joey De Francesco
http://www.joeydefrancesco.com/index2.html

Jake Langley
http://www.almarecords.com/shtml/artists_sites/jake/jake_default.shtml

Ron Blake
http: //www.ronblakemusic.com/pages/bio.html

George Coleman
http://www.allaboutjazz.com/php/article.php?id=1078

Byron Landham
http://www.crisscrossjazz.com/artist/LandhamByron.html

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