Una delle cose che noi semplici appassionati di musica invidiamo a chi è capace di suonare uno strumento, oltre alla padronanza del medesimo, è la possibilità di esercitarsi su composizioni il cui solo ascolto per noi rappresenta un piacere assoluto e una forma di nutrimento per lo spirito. Chissà, viene da pensare, quali orizzonti si spalancheranno davanti a chi sa comprendere i segreti tecnici che stanno dietro a capolavori del genere, e magari perfino applicarli. Il patrimonio musicale è ricco di opere di questo tipo, in particolare per chi suona il pianoforte: si va dalle Sonate (relativamente) facili di Mozart agli affascinanti Studi di Debussy, adatti per pianisti già abilissimi. Ma anche per quanto riguarda queste composizioni "didattiche", come per svariati altri generi, la prima pietra dell'edificio l'ha posta Johann Sebastian Bach, e non si tratta di una pietruzza illusoria stile inaugurazione del ponte sullo Stretto, bensì di un colossale basamento granitico su cui si appoggerà un gran numero di opere successive. "Preludi e fughe attraverso tutti i toni e semitoni, sia maggiori che minori, ad uso della gioventù studiosa musicale, come a particolare ricreazione di coloro che in questo studio sono già versati": così recita il sottotitolo del primo libro del "Clavicembalo ben temperato". Al di là delle implicazioni calcistiche dei "Toni e semiToni" (quello attuale è un semiToni) e a parte il fatto che a coloro che ne possono trarre "particolare ricreazione" vanno aggiunti i puri ascoltatori come me, la definizione illustra già bene il contenuto di questa monumentale raccolta di 24 preludi e altrettante fughe. Si tratta della migliore dimostrazione immaginabile delle proprietà e dei rapporti intercorrenti tra le dodici note a disposizione di ogni musicista, e (per fortuna) anche di ogni ascoltatore. Ai tempi di Bach la divisione della distanza tra due note uguali ma di diversa altezza (l'ottava, da un do al do successivo) in 12 intervalli uguali (i famosi semitoni) era già stata teorizzata. Ma fu davvero immensa la sua capacità di rendere solari e direttamente percepibili le simmetrie presenti in questo cerchio, frutto di una partizione freddamente geometrica ma al tempo stesso magico, curiosamente simile a quello che rappresenta la volta celeste divisa secondo le 12 costellazioni dello Zodiaco. Si parte dalla proprietà che consente di costruire su ognuno di questi spicchi due tipi di scale (maggiore e minore) a seconda dell'ampiezza degli intervalli successivi alla nota di base. Quindi, per ognuna delle 24 tonalità ottenute, vengono esplorate prima (nel Preludio) le potenzialità melodiche e poi (nella Fuga) quelle contrappuntistiche, legate alla sovrapposizione di più temi che si intrecciano e si accavallano in una specie di moto perpetuo che sembra tendere verso l'infinito. La presenza di una fuga per ogni tonalità è l'ennesima conferma di quanto il contrappunto sia al centro dell'arte di Bach, anche in lavori come questo, in cui si tratta d'altro. Il saggio musicale per eccellenza sul contrappunto sarà l'enigmatica e incompiuta "Arte della fuga". Ben 48 tra preludi e fughe compongono questo primo libro, già perfettamente completo dal punto di vista teorico, ma Bach in tarda età troverà la forza di ripartire dal do maggiore e di costruire sulle medesime basi un altro poderoso edificio, che è appunto il secondo libro del "Clavicembalo ben temperato". Dato il loro numero non è il caso di addentrarsi nella descrizione di ognuno di questi preziosi pezzi di musica. Citiamo qua e là i più originali: il Preludio n° 1 in do maggiore è senz'altro il più famoso. Il suo inconfondibile tema, "ciclico" come il movimento di una vite senza fine, è anche quello della cosiddetta "Ave Maria di Bach-Gounod" (molto più di Bach che di Gounod, direi); il n° 4 in do diesis minore e il n° 8 in mi bemolle minore si fanno notare per la loro estensione e soprattutto per le sublimi melodie, molto malinconiche, il n° 9 in mi maggiore per il gentile tono salottiero che annuncia l'ormai prossimo stile rococò, mentre il n° 6 in re minore si esaurisce in un frullio di note rapido come un batter d'ali; il n° 16 in sol minore si apre con un trillo inquietante e prosegue non meno cupo. Particolarmente gradevoli e "moderni" per l'estrema dilatazione delle battute, con note staccate e rarefatte che a tratti sembrano addirittura anticipare Satie, sono i Preludi n° 12 in fa minore e n° 22 in si bemolle minore. Ho citato solo preludi, ma è sottinteso che le fughe corrispondenti non sono da meno: i limiti di fantasia imposti dalle rigorose regole del contrappunto sono più che compensati dal perfetto incastro tra i temi che si rincorrono come le onde del mare: via via che uno si esaurisce ecco sopraggiungere, con forza rinnovata, il successivo. Concepita nel '700 per il clavicembalo, antenato del pianoforte dal suono secco e metallico, quest'opera si è dimostrata particolarmente adatta all'esecuzione per pianoforte, ma ciò in effetti vale per tutte le composizioni per tastiera (e non solo) di Bach. Ulteriore prova della loro attualità, o meglio della loro totale atemporalità: si tratta di musica assoluta, e quindi non riferibile ad una certa epoca. Con tutto il rispetto per gli innumerevoli pianisti che si sono cimentati nell'impresa, l'interpretazione di Glenn Gould ha un qualcosa di unico non solo per la tecnica sopraffina (che si dà per scontata nei grandi pianisti), ma soprattutto per come riesce a conciliare fantasia e assoluta attenzione all'aspetto contrappuntistico, che Gould (proprio come Bach) considerava centrale nella sua concezione musicale. Soprattutto nelle fughe si avverte che Gould si trova nel suo ambiente naturale: basta sentire in che modo inconfondibile sottolinea l'ingresso di un nuovo tema che va a coprire il precedente, con note perentorie e dai contorni così precisi e marcati da dare la sensazione di avere una consistenza solida. Dietro l'apparente naturalezza di queste esecuzioni in realtà è nascosta la faticosa e quasi maniacale ricerca di riprodurre fedelmente sul pianoforte il suono asciutto ed essenziale del clavicembalo. Per far questo Glenn Gould passò anche attraverso tentativi bizzarri, come la creazione di un pianoforte ibrido ("harpsipiano") rinforzato da puntine metalliche, ma ad un certo punto si dovette convincere che la sua immensa abilità tecnica sarebbe stata l'unico mezzo per poter suonare un pianoforte come se fosse un clavicembalo, senza sfruttare o quasi gli effetti di risonanza. Una misura di quanti sforzi abbia richiesto tutto ciò la danno le date delle singole registrazioni di preludi e fughe: si va dal 1962 al 1965, e per di più in ordine sparso, non di tonalità. Ma per quanto accidentata sia stata la strada per ricomporre questo mosaico di 48 pezzi, il risultato finale dimostra senza ombra di dubbio che ne valeva la pena.

Carico i commenti... con calma