Di Johann Sebastian Bach oggi, forse, diremmo che si vendeva al miglior offerente. Perché, oggettivamente, fu così, dato che vagò per trent'anni per mezza Germania alla ricerca del mecenate più illuminato, della paga più alta e del ruolo più altolocato. Questo dato non va però male o maliziosamente interpretato: siamo nel XVI secolo, ed al tempo si trattava, e si tratterà ancora per molto a venire, di una pratica assolutamente usa ai musicisti di allora, che girando per le corti e le diocesi europee potevano acquisire maggiori stimoli, suggestioni e materiale per migliorare la propria arte (per non parlare del fatto che potevano far girare il loro nome e magari trovare incarichi di prestigio sempre crescente).

La divisione in periodi di Bach per la musica è chiara come quella di Picasso per la pittura: in base a dove lavorava, al tipo di commissione ed al padrone che lo dirigeva, il musicista ha prodotto opere del tutto distinguibili fra loro; come nel caso di Picasso (che fu un genio fin dai primi schizzi), però, non si tratta di una sola evoluzione qualitativa, ma bensì di un vero e proprio cambio di rotta che Bach (che fu un genio fin dai primi pentagrammi) affrontava ogni volta che si trovava davanti un pubblico ed uno scopo diverso a cui asservire la sua arte. Quindi, per esempio, il periodo di Weimar, durante il quale Bach fu organista di corte, è quello in cui ha prodotto la maggior parte delle opere per organo, o durante quello di Lipsia cui ci ha lasciato le messe e le cantate religiose dato che lì Bach era il maestro di cappella di una chiesa, e così via. Durante il soggiorno a Köthen, Bach trovò un principe che gli consentì di sbizzarrirsi nella musica profana concertata (al tempo di provenienza quasi esclusivamente italiana): risalgono a quei sei laboriosi anni alcune delle composizione più assolutamente geniali dell'intera storia della musica.

Per rendere omaggio alla sconvolgente bellezza della musica concertata di Bach, l'ensemble Café Zimmermann ha deciso di incidere l'intera produzione che il musicista tedesco a riservato a questo genere nella maniera migliore possibile. Il gruppo si è dunque rivolto alla chicchissima etichetta parigina Alpha, che ha appoggiato appieno l'idea finanziando l'intero progetto (giunto finora al quarto CD, ma non ancora concluso) intitolato "Concerts avec plusieurs instruments", cioè proprio come Bach chiamò i concerti polistumentali. I Café Zimmerman sono un gruppo eterogeneo di gente proveniente da un po' ovunque: l'orchestrina è guidata dal primo violino e konzertmeister argentino Pablo Valetti e dalla clavicembalista francese Céline Frisch, ma tra le fila si scovano anche suonatori tedeschi, polacchi, inglesi, la flautista italiana Diana Baroni ed altri ancora; una vera e propria orchestra multiculturale. Questi musicisti, di una bravura che ha del commovente, hanno affrontato Bach nella maniera più filologicamente pura possibile: hanno raccolto l'intero materiale del periodo di Köthen, l'hanno riordinato cronologicamente, studiato accuratamente, capito intimamente ed eseguito con strumenti originali dell'epoca o, in mancanza di tali, con delle copie perfette nella forma e nel suono. Il risultato finale è senza la minima ombra di dubbio uno dei più importanti progetti nel campo della musica "classica"* degli anni 2000 (se non il più importante), ed uno dei più alti raggiungimenti per qualità esecutiva nella storia delle incisioni bachiane, forse il più alto in assoluto per questa parte del suo repertorio. Premettendo che il materiale su cui hanno lavorato è universalmente considerato geniale, giustamente, la vittoria che l'ensemble ha conseguito sta nella clamorosa qualità della loro performance, che lascia decisamente un precedente in questo campo.

Nonostante la molto ricercata adesione alla partitura originale e la volontà del maggior distacco possibile dai propri personali intenti interpretativi, non c'è freddezza in questi dischi: tutto è morbido, ben amalgamato, soave. Il quarto "Concerto brandeburghese BWV 1049" è molto semplicemente un capolavoro eseguito come meglio non si potrebbe, il "Concerto per oboe d'amore BWV 1053R" è di una dolcezza eccezionale, il "Concerto per tre clavicembali BWV 1064" conquista con il suo pathos quasi da colonna sonora, e la stranota "Suite no. 2 BWV 1067"(quella che si conclude con la celeberrima "Badinerie") risuona luminosa come non mai. Ennesimo importante punto a favore del disco sta nel fatto che i Café Zimmerman non sono una grande orchestra (come di solito si è allestita in passato per questo), ma un ensemble di una dozzina di elementi... proprio come l'organico che aveva a disposizione Bach al tempo. La grande proprietà tecnica di tutti i musicisti ha permesso loro di premere un po' sull'acceleratore velocizzando leggermente l'esecuzione rispetto alla tradizione, ed anche questa è una mossa studiata a tavolino in maniera filologica, visto che sappiamo che Bach amava i tempi molto veloci. Forse il meglio in assoluto, però, i Café Zimmerman lo riservano per le parti da virtuoso: più ancora che la Frisch, è il grandissimo Valetti a stupire con la versatilità del suo violino, e per la precisione (giusto per individuare la punta di diamante del disco) nel terzo movimento del "Concerto brandeburgese"(fusione eccezionale delle tre voci violino/continuo/flauto) l'argentino ci lascia la più clamorosamente perfetta esecuzione mai sentita di quelli che sono forse i 40 secondi più belli della storia della musica, con una linea sonora che va su e giù in maniera sempre più furiosa, veloce e ravvicinata fino a creare una sorta di effetto ipnotico.

Scrive il quotidiano Le Monde: «L'ensemble è magnifico per dinamica, espressione e fraseggio. Tutto è allo stesso tempo vivo e mosso, libero e d'una perfetto controllo, semplice e terribilmente sofisticato». Ha ragione: nel terzo volume della serie, comprendente le opere nel periodo che va dal quarto Concerto brandeburghese alla seconda Suite orchestrale (fondamentalmente, quindi, una bella fetta della più nota produzione bachiana), la maestria dei musici raggiunge livelli di perfezione insperati. La critica mondiale ha premiato queste registrazioni con stellette su stellette, coccarde da "disco dell'anno", recensioni entusiastiche e grandi celebrazioni, e tutto è perfettamente meritato: ascoltare questi CD oggi fa un po' l'effetto che devono aver destato le "Variazioni Goldberg" di Glenn Gould anni fa, ovvero di riconsiderare totalmente una musica pur più che conosciuta in un'ottica del tutto diversa, assolutamente moderna, completamente contemporanea ed ancora oggi in grado di stupire ed offrire spunti divertenti, mesti, commoventi e tranquilli ad un tempo. Contrariamente a Gould, però, che mise molto di sé stesso in Bach, il lavoro svolto dal Café Zimmerman è encomiabile per perfezione tecnica, pulizia del suono e giustezza esecutiva: in mano a questi esperti musicanti, Bach torna ad essere di Bach e non dei musicisti di turno che affrontano, chi meglio chi peggio, il prezioso materiale lasciatoci dal tedesco.

* = L'espressione "musica classica" non vuole dire minimamente nulla, ma qua è usata nel senso comune, e cioè per indicare tutta quella musica scritta dal Medioevo alla musica colta di oggi (e risulta quindi lampante che in sette secoli non può esserci stato un solo unico monogenere).

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