Come si fa ad avere 63 anni, ad esser stato una delle due menti di uno dei gruppi più significativi della storia rock, a passare negli anni attraverso sperimentazioni rock, dal proto-punk, alle collaborazioni con Terry Riley, uno dei padri del sintetizzatore e non sentirsi mai appagato, mai domo o soddisfatto e ad essere anzi sempre innovativo mai scontato e a mantenere la stessa freschezza, spensieratezza e curiosità. Di sicuro è cosa molto difficile per i più, non per John Cale, artista multiedrico e trasversale tra i più controversi ed enigmatici del panorama rock.

Black Acetate è la sua ultima fatica da studio, passato un po' in sordina a mio avviso, lavoro che viene dopo l'ottimo e spiazzante Hobo Sapiens del 2003. Il disco gira intorno ad un sostanziale corredo rock, tuttavia ben incorniciato in schemi elettronici e sperimentali, mai invadenti sempre discreti e delicati.

Idealmente il disco può esser suddiviso in due parti: una prima sicuramente più leggera che si apre con Outta The Bag, dagli arrangiamenti funky-jazz, ma anche elettronica, introspettiva ed intimista come emerge da Satisfied, dal gusto vagamente "sigur-rosiano" o come la delicata e struggente GravelDrive, dove il timbro di voce ricorda quello di Tom Waits e che sancisce anche la prima parte del disco. Nella seconda parte Cale si abbandona alla sua vena più rock, rock impavido e graffiante come in Perfect o Sold Motel, ma anche spensierato e disimpegnato come in Woman e Wasteland. Il disco si chiude con la ballata malinconica Mailman (The Lying Song) che secondo me ricongiunge in maniera organica e unitaria le due anime del disco.

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