Quando uno è bravo, voglio dire, è bravo. Che poi piaccia, non piaccia, sia amato, odiato, snobbato o semplicemente non cagato questo è un altro discorso. E direi che è quello che succede da sempre a John Cale, che - da sempre - ci regala grande musica a volte in chiave acustica col suo pianoforte, a volte a tempo di rock, a volte con le armonie aggressive e feroci della sua viola. La sua è musica senza tempo. Cale è uno dei pochi artisti che cavalcano la sua onda personale senza svendersi senza ammiccare e senza - cosa ancora più importante - mai dimostrare cali d’ispirazione che in altri casi di molti suoi colleghi si traducono in produzioni artistiche quantomento imbarazzanti. Poi, purtroppo non lo caga nessuno.
Nel concerto che ebbi modi di vedere a Torino in quel del 2003 furono testimoni della sua fantastica performance meno di 200 persone. Non so quante che ne saranno alle date che prossimamente farà in Italia ma sono certo che chi sarà lì ascolterà del grande rock e vedrà un grande musicista in azione. Nel frattempo ci possiamo ascoltare il suo nuovo album, “Circus”, che cattura preziosi momenti dei concerti dei tour del 2004 e del 2006.
La musica che si ascoltà qui riecheggia del più completo senso di raggiunta maturità, le atmosfere sono uniche, il tocco è inimitabile. Il suono è la quintessenza del Rock: pieno ma pulito, corposo, perfetto; Cale interpreta con quel vigore distaccato che è il suo vero marchio di fabbrica, prende le canzoni che conosciamo tutti e ne fa ogni volta una cosa nuova. Per me, un genio. Si possono ascoltare “Venus in Furs” e “Femme Fatale” per il doveroso richiamo ai classici dei Velvet, “Helen of Troy”, “Cable Hogue”, “Hanky Panky Nohow”, “Heartbreak Hotel”, “Mercenaries” e “Pablo Picasso” per una colonna vertebrale di sue personali pietre miliari cui si aggiungono gemme come “Style It Takes” da “Song for Drella” e le splendide “Outta the Bag” e “Look Horizon” per documentare al meglio anche la produzione più recente. C’è solo da rimpiangere che abbia dovuto lasciare fuori da una scaletta così “Fear” , “Hallelujah”, “I keep a close watch” e… be’ la lista sarebbe lunga, e sui cd ci sta quel che ci sta!
Dopo averci regalato uno dopo l’altro dischi grandissimi, qui John Cale ci lascia un documento eccezionale, una performance lineare ma di valore assoluto, inimitabile, viva e vibrante, un’emozione continua che si ascolta bevendola con le orecchie senza che mai per un attimo affiori un pelo della - scusate, devo dirlo - noia che affiora invece a tratti ascoltando analoghe performance del suo vecchio socio, Lou Reed. Non ho mai dubbi su chi abbia fatto i Velvet Underground e chi abbia fatto i soldi. Un disco da avere. Ah, e poi nella confezione c’è anche un dvd con delle registrazioni delle prove, elettriche ed acustiche, ma a fronte di ‘sta musica il resto passa in secondo piano…
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