I più attenti non potranno non notare che sto per derogare su queste pagine web, almeno per questa volta, dalla mia idea iniziale di recensire sulle stesse soltanto dischi mai recensiti, poiché mi sto apprestando a riparlarvi, con grande enfasi, di questo “Paris 1919” di John Cale, seppur sia già tra i Deb-esposti, poiché è una pietra angolare dei miei ascolti da quando l'ho scoperto molti lustri fa.

Capolavoro, seppur non abbastanza apprezzato, lo stesso è un sempreverde del marzo del '73, nato dall'estro gentile e colto, seppur travagliato, del suo Autore, che, malgrado sia greve di una sottile tristezza, intraprende un bel viaggio attraverso una dolcissima “English Music”, forte dei suoi curatissimi arrangiamenti, e della sua voce potente e nel contempo delicata, regalandoci un caleidoscopico minimalismo di incantevole bellezza, nonostante tanta apparente semplicità.

Artista sperimentale e creativo, a mio avviso John Cale non è noto ai più soprattutto per questa sua opera, seppur così melodicamente accessibile, ma bensì per le sue multiformi interpretazioni musicali, tra rock, pop, punk, musica classica e d’avanguardia, ed importanti colonne sonore, così pure per i suoi preziosi contributi ai lavori di Artisti come The Stooges, Nico, Patti Smith, Nick Drake e Jonathan Richman.

Ai meglio informati, oltre che per lo splendido “Paris 1919” qui in parola, è conosciuto più ampiamente, oltre che per detti suoi trascorsi, anche come figura di spicco dell'epopea newyorkese di fine anni '60, già membro fondatore dei Velvet Underground insieme a Lou Reed, di cui soffre da sempre la sua ombra malgrado tanto suo valore.

Insomma un Artista geniale, seppur introverso, Protagonista qui di un’eccellente prova come “Paris 1919”, il cui ascolto, per un eccesso di perfezione scorre così talmente veloce, che, nel caso delle prime volte, è impossibile apprezzarlo in pieno, tanto che ti ritrovi ad riascoltarlo di nuovo subito dopo, forte del fatto che lo stesso non ti annoierà mai, almeno per chi scrive.

Fatta eccezione per uno o forse due brani che stanno lì come dei riempitivi, tutto scorre perfetto e suadente, senza alcun tentennamento, grazie anche al contributo di talentuosi Session men, tra cui, estrapolati dalle sanguigne sonorità dei Little Feat di cui ne fanno parte, eccellono veri numero uno come Lowell George alla chitarra elettrica ed acustica, Bill Payne alle tastiere, e Richie Hayward alla batteria, a cui si aggiungono con pari merito il grande Wilton Felder dei Jazz Crusaders al basso ed al sassofono, e Chris Thomas, famoso tecnico e produttore, alle percussioni.

Ricco di raffinate e delicate melodie, John Cale abbandonato lo sperimentalismo, conduce in appena 31' e 19’’, durata della versione originale, un compendio di arrangiamenti perfetti, impreziosito nei suoi solchi da piccole grandi gemme musicali, di cui mi appresto di seguito a scrivere un modestissimo mio Bignami, con il talento dell’ultimo dei recensori.

Dall’incedere lieve e malinconico, spetta alla ballata “A Child's Christmas In Wales” l’onere di avviare il Lato A, riportandoci piacevolmente indietro verso splendide sonorità passate.

Con il medesimo Music Appeal, ma più folkeggiante ed aeriforme, prosegue “Hanky Panky Nohow”, magistralmente immersa nella sua ingenua e melodiosa cantilena.

Ugualmente magica, riecheggia subito dopo, perfetta ed emozionante, l’orchestrale “Endless Plain Of Fortune”, incredibilmente struggente e drammatica, capace di farti ritornare ai tuoi ricordi più lontani con la forza di un pugno ben dato in pieno stomaco.

Prosegue ancora malinconicamente la sequenza, direi perfetta, la semplice ed eterea “Andalucia”, costruita melodiosamente tra un tenuo accordo e l’altro.

Conclude il Lato A il distonico e riempitivo hard-rock “Macbeth”, musicalmente “sgraziato” rispetto al restante perfetto stato dell’arte, seppur suonato alla perfezione.

Con l’elegante ed orchestrale title track “Paris 1919”, direi l’emblema per antonomasia di questo Disco, riparte magnifico il Lato B, confermando l’incanto di tutta l’opera.

Ciondolanti e simpatiche orchestrazioni caratterizzano la successiva ed un po’ naif Graham Greene”, graziosa e di facile ascolto, ma non eccellente quanto i brani migliori del Disco.

Siamo ad “Half Past France”, penultimo dell’Album, ritorna nuovamente splendido quanto basta per meritare ancora il nostro entusiastico ascolto, grazie a John Cale che ondeggia amabilmente con i propri altalenanti vocalizzi com’è suo solito.

Sognante e sussurrevole “Antarctica Starts Here”, impreziosita dal piano elettrico e dalla voce di John Cale, e dal centrale e sofferto crescente armonium, conclude in modo appropriato il Disco, tanto da ritenerlo forse il suo brano migliore.

A chi piace John Cale, “Paris 1919” è un Album essenziale della sua discografia, meraviglioso ed amorevole, da consigliare tanto per iniziare a chi lo conosce poco o niente.

Buon Ascolto Friends !!!

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