Artigianato, personalità, classe, profondità, intrattenimento, il tutto in una dimensione superbamente B-Movie: John Carpenter è tutto e questo, oltre a essere un orgoglioso portabandiera del low cost ad oltranza, anche nelle sfarzosità di titoli come "Grosso Guaio A Chinatown" (un film d'intrattenimento puro da trascrivere negli annali).

In una Los Angeles anni '70, al poliziotto di colore Ethan Bishop, fresco di promozione, viene affidato il "notevolissimo" incarico di supervisionare la chiusura di una stazione di polizia (il tredicesimo distretto), situata in un quartiere cittadino in preda all'anarchia criminale. Poche ore e, da edificio abbandonato a sé stesso, il distretto 13 diventa una fortezza cadente assalita da tribù metropolitane bramanti di vendetta dopo l'uccisione di un loro affiliato. Le persone all'interno sono costrette a collaborare: il giovane agente Bishop, due segretarie annoiate, un paio di galeotti, tra i quali il condannato a morte "Napoleone" Wilson.

Su una trama semplicissima viene eretto un monumento western moderno, cupo ma non privo di ironia. L'ambientazione, sia dentro che fuori dall'edificio assaltato, è volutamente ed intelligentemente vaga: il distretto semivuoto è squallido tanto quanto il desertico quartiere che lo circonda, i criminali sono solo fantocci impersonali che si trasformano in ombre mute durante la guerriglia notturna. Gli stessi protagonisti non hanno un passato, non sono delineati in maniera importante, sono solo delle persone fatte incontrare dal caso, condividenti il puro spirito di autoconservazione.

L'aspetto psicologico, quasi sempre presente nei film di Carpenter, non è basato su discorsi intellettuali o esistenziali, ma è rappresentato dalla tensione derivata dalla situazione di stallo persistente, dalla certezza di essere isolati da qualsiasi aiuto in attesa della carica finale. In quest'opera, un vetro rotto da qualche parte nel buio, o semplicemente il silenzio notturno, sono più significativi della sceneggiatura, quasi povera. Come sempre, la colonna sonora è stata composta direttamente dal regista, per disegnare un incubo ancora più personale.

Riuscitissima e giustamente ricordata è la parte di Napoleone Wilson, già condannato a morte che decide comunque di combattere, non per riscatto delle proprie precedenti azioni, ma semplicemente per istinto.

Un grandissimo e genuino lungometraggio, che rimarrà sempre tristemente relegato al ruolo di "film per appassionati", soprattutto notando l'andamento del cinema odierno, dove teste spappolate e volgarità visive ed uditive sono i nuovi dogmi.

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