U.S. Outpost #31, Antartide, inverno.

Il freddo inizia a penetrare la carne, indifesa e passiva, e il tremolio costante delle mani è una stupida, quanto inutile, consolazione nella mia testa. Sono vivo, almeno per ora. Di fronte Childs, il collega superstite: dorme, o molto probabilmente è privo di sensi per questa fottuta tormenta, che sembra non aver fine; e di cui non ricordo l'inizio, maledizione. L'esplosione è dappertutto, l'esplosione ha spazzato via la base artica. Nauls, Palmer, Fuchs, Dr. Blair, Bennings, Clark.. Sono tutti morti. Ho lo sguardo ancora fisso sull'apocalisse, nel buio con il lanciafiamme e la paura dentro. Quella paura nascosta, sconosciuta che potevi trovare in un angolo di quei dannati corridoi. Il terrore aveva reso tutti noi ostaggio e carnefice, una ‘cosa' spietata e subdola ti entrava nelle viscere. Esplorava e riproduceva il tuo organismo, dominava la mente e poi esplodeva, letteralmente. Il male è come un virus, la disperazione aumenta il contagio. Il male può albergare in ciascuno, e all'improvviso uscire fuori. Manifestarsi, anche in modo atroce, dopo aver ‘posseduto' le persone. Non c'è speranza. Ci scruta, ci osserva e decide il miglior contenitore ‘umano'. Il fuoco intorno illumina quel che resta della notte, aspetto con le poche forze rimaste i soccorsi. Forse non arriveranno mai, e morirò congelato a fianco del mio compagno. Il gelo copre le palpebre, immobilizza il respiro affannoso. Cerco di rimanere sveglio, allontano e muovo i pensieri verso quella minaccia innominabile e mostruosa. Al riparo, con la sola luce incandescente di un candelotto, nella quiete oscura d'una tomba. Quell'orrore estraneo avrebbe potuto essere di chiunque, depositarsi e crescere. Nei volti e corpi deformi dei nove ricercatori scomparsi. Oppure, un giorno, nel mio viso grottesco allo specchio. Continuerò a fare attenzione, qui fuori. Finché potrò. Nonostante tutto, la ‘cosa' potrebbe esser viva. E annientarmi.

Tensione e paranoia invadono lo schermo nel remake-cult ‘La cosa' (‘The thing', 1982) di John Carpenter, tratto dal breve romanzo ‘Who goes there?' di John W. Campbell Jr. come il classico del '51 di Howard Hawks (firmato nei titoli dal montatore Christian Nyby), da sempre riferimento importante per il regista nato a Carthage, New York. Proprio rispetto alla versione di trenta anni prima, la nuova sceneggiatura di Bill Lancaster (a cui collaborò Tobe Hooper) non prevedeva ruoli femminili poiché, secondo Carpenter, la storia avrebbe avuto un maggiore impatto. Gli impressionanti effetti speciali dell'allora ventiduenne Rob Bottin, e le musiche di Ennio Morricone, integravano visivamente al meglio il crescendo claustrofobico, e angosciante, della pellicola. Carpenter, appena reduce dal successo di ‘1997: Fuga da New York', ebbe dalla Universal un budget piuttosto ricco, se paragonato ai suoi standards, e decise di realizzare il film con calma; infatti le riprese durarono oltre un anno, nei ghiacciai della Columbia britannica in Canada, dove venne allestito il campo base della vicenda in sei mesi.

La tecnica narrativa del Maestro Carpenter incontra incubi e paranoiche allucinazioni lovecraftiane nel racconto rigoroso e ansiogeno di una spedizione scientifica in Antartide, con a capo il caparbio MacReady (Kurt Russell, vero attore feticcio e icona del cinema carpenteriano), minacciata da una misteriosa entità aliena capace di assumere qualsiasi sembianza. La ‘cosa' prenderà possesso gradualmente degli scienziati, MacReady e altri sopravvissuti dovranno impedire che il rischio si estenda all'intera umanità. Isolati tra le nevi polari, e con ogni mezzo a disposizione. Uscito negli Stati Uniti in concomitanza col campione d'incassi ‘E.T.' di Spielberg (per la serie ‘alieno buono e gentile' contro l'immaginario pessimista e inquietante del Nostro) l'horror\fantascientifico ‘The thing' fu un grande insuccesso, e i costi furono superiori ai ricavi del botteghino. Anche la critica americana accolse negativamente il film di Carpenter, ritenendolo un modesto remake-splatter per poi rivalutarlo definitivamente nel corso del tempo (al contrario dell'Europa, che lo considerò da subito un cult-movie): il destino, ahimé, spesso riservato ai grandi del Cinema. Come John Carpenter.

Posso respirare a fatica, ho un cappio al collo ormai. Il gelo ha congelato i miei arti. Fuchs, rispondi, non voglio morire in questa tetra solitudine di merda. Spero che il fuoco e fumo nel cielo richiamino l'attenzione. Controllo con scrupolo ciò che mi circonda. Ho preservato me stesso e il prossimo da quel conflitto innaturale di ossa e tessuti lacerati, assimilato in una replica grottesca e surreale. Aspetterò un elicottero, l'alba è ancora lontana. Il freddo avvolge con rabbia l'anima, ma riesco a sperare, con presunzione. Aspetto arrivi qualcuno, non ‘qualcosa'..

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