L'uomo ha sempre sognato il cielo, anelandone il silenzio, i colori e quella sensazione di ampia ed immobile dinamicità che ci fa sentire così piccoli e lontani. In molti hanno cercato di soddisfare questo desiderio remoto, prodigandosi in invenzioni sempre più complesse al fine di poter toccare con mano le nuvole e sentire la terra così lontana e allo stesso tempo così vicina, ma non tutti hanno optato per un viaggio "fisico" verso il confine tra terra ed ignoto, infatti c'è chi ha inserito il desiderio umano di elevazione corporea all'interno di un percorso spirituale che pone l'obiettivo di far volare la propria anima, farla viaggiare senza bisogno di aerei o shuttle, trovando nelle sensazioni quel veicolo interiore capace di spingere l'individuo a rigenerarsi e a trovare la propria pace.

Quest'ultima strada può sembrare la più semplice, la meno "operativa", un po' "pigra" forse, ma in fondo nasconde difficoltà intrinseche che ben si nascondono ad uno sguardo poco attento e distratto. Questo John Coltrane lo sapeva bene, infatti aveva capito che l'anima non è un passeggero facile da accontentare, non bastano artifici tecnologici e macchine ultramoderne per farla sentire libera, necessita di molto altro, di qualcosa di meno tangibile e palpabile, ma allo stesso capace di colpire, di fermare il pensiero e mozzare il respiro, in parole semplici ha bisogno di perdersi, staccarsi dal quotidiano, per trovare al di fuori del corpo e del tempo il suo cielo.

Come ho detto sopra Coltrane sentiva tutto ciò e per affrontare il suo viaggio (che poi diventerà anche il vostro, se volete seguirlo) ha scelto come veicolo il Free Jazz, un genere musicale che, come dice il nome stesso, si libera da vincoli e catene per proiettarsi verso un universo nuovo, inesplorato e misterioso, dove i fiati si rincorrono in una corsa forsennata, libera, che porta dritta verso l'universo. Il racconto di questa esperienza spirituale confluisce nelle tracce che compongono questo "Interstellar Space", un lavoro particolare, di non facile assimilazione, ma in grado di colpire (nel bene o nel male) fin dal primo ascolto, grazie ad un John Coltrane veloce, nervoso che tesse trame affilate come stiletti, che lacerano, scavano e penetrano fin dentro il nostro più intimo essere, trascinandoci in un vortice di note e colori, resi ancor più intensi dal lavoro preciso e grintoso alla batteria di Rashied Ali, unico compagno del buon John in questo particolare viaggio.

Ad avviare i motori del nostro mezzo psichico ci pensa "Mars", un pezzo introdotto da uno scampanellio che da la sensazione come d'inizio di una seduta di meditazione, per poi lasciare campo libero al duo Coltrane/Ali, i quali intrecciano i loro strumenti in un amplesso musicale travolgente e spiazzante, che trasuda una libertà ed una spiritualità tali da scuotere anche il più freddo dei razionalisti. L'album, che può essere inteso come una lunga suite divisa in vari movimenti, procede seguendo l'impronta concettuale espressa dal brano d'apertura ed è un lavoro, perdonate la ripetizione, che necessita di molti ascolti per essere ben assimilato e compreso, in quanto è, nel suo esser volutamente scarno, talmente pregno di forza interpretativa da lasciare inizialmente disorientati.

In conclusione mi sento di consigliare questo lavoro a tutti gli amanti di Coltrane ed anche a tutti quegli ascoltatori che cercano un disco vivo e vibrante, capace di scuotere e allo stesso tempo far sognare.

"Interstellar Space": John Coltrane: tenor saxophone, bells; Rashied Ali: drums.

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