Credo che la via maestra per amare - amare una persona o un genere musicale - sia averne il desiderio puro e disinteressato (sottolineo DISINTERESSATO). Dopodiché occorre un pizzico di intelligenza e di fortuna per trovare l'incontro "giusto".
Questa breve introduzione morale/filosofica per dire che ritengo questo album una maniera eccellente di accostarsi al jazz, se se ne ha davvero voglia. Vorrei così sopperire, suggerendo questo lavoro, a quel pizzico di intelligenza e fortuna...(perdonatemi le sbrodolate dettate da una passione indomabile)
John Coltrane è famoso anche tra i non-jazzofili. A ragione, dico io. Si tratta di un artista assolutamente eccezionale, dalla storia purtroppo non lunga (morì troppo giovane nel 1967, a soli 41 anni), che, dopo un lungo e rispettabilissimo "apprendistato" con artisti del calibro di Miles Davis e Thelonious Monk, trovò il suo percorso spirituale e musicale a partire dall'anno di grazia 1957, quando incise, in un fortunato mese di settembre, la sua prima opera matura "Blue Train" e partecipò - rendendola memorabile - alla registrazione dell'album "Sonny's Crib" dello sfortunato pianista Sonny Clark.
Gli aspetti tecnici li lascio ai sassofonisti, più indicati di me - chitarrista - a evidenziarli. Mi limito a dire che questo meraviglioso album segnò l'inizio della nuova vita del sax soprano nel jazz, dopo l'epoca di Sidney Bechet negli anni '30 e '40.
Il quartetto non è ancora quello "storico" degli anni sessanta, manca Jimmy Garrison al basso, che qui è suonato - con swing impeccabile, suono robusto e maestria ritmica e improvvisativa - da Steve Davis, che nonostante questa credenziale non conobbe una carriera adeguata. Il pianista è Mc Coy Tyner e alla batteria - colpo di cannone - il signor Elvin Jones. Amici, si tratta di maestri che hanno un tocco da brivido sui rispettivi strumenti, accompagnatori di volta in volta discreti o grintosi, e solisti emozionanti. Quei momenti fortunati che a volte capitano in sala di registrazione... grazie al cielo!
D'accordo, arrivo al succo e cercherò di limitare i superlativi.
Nel 1960 John Coltrane sceglie di registrare un disco di standard "rivisti" alla sua maniera, post-Giant Steps, e si sente su "But not for me" e "Summertime".
La rosa è di soli quattro brani, per circa quaranta minuti di durata. Due brani saranno eseguiti al sax tenore, gli altri due col soprano, un regalo di Miles Davis che folgorò John.
Apre le danze il pianoforte sospeso di Tyner: la title-track "My favorite things", quasi una filastrocca in 3/4 da film sdolcinato eppure opera di un grande duo di compositori, diventa un capolavoro di malinconia, ieratica e sognante. Poi entra il soprano, a sorpresa, ed è impossibile smettere. Tema, solo di piano da brivido, solo di sax e tema finale, mentre la batteria danzante di Elvin Jones tiene tutto con leggerezza mai uguale. Oltre tredici minuti, ma come può finire un brano simile? Eppure parte la seconda traccia, sempre al sax soprano: una ballad di Cole Porter "Everytime we say goodbye", dove il solo è quasi un semplice controcanto al tema esposto con emozionante delicatezza e intensità. Impossibile evitare la pelle d'oca, i ricordi di un incontro mancato per poco, il pensiero di una persona cara che ci manca...
Ma via, implacabile e a sorpresa John imbraccia il tenore e parte la terza traccia, "Summertime", una sfida, un brano quasi sacro affrontato con amore irriverente, l'unico brano "difficile" per il neofita, ma che incorniciato da tante emozioni può condurlo ad apprezzare anche il jazz più complesso - in apparenza - per armonie e strutture aperte e ardite. Su tempo non velocissimo, girano le sostituzioni armoniche di Coltrane, fino ad uno scambio su note basse piano/basso/batteria da urlo, alzate il volume e vi tremeranno i vetri come quando ascoltate "Master of Puppets" (non sto scherzando, ragazzi miei, ascoltare per credere...).
Poi, ormai alla fine - ma che fine? Non può finire... - l'ultimo brano, "But not for me", ancora Gershwin, ancora sostituzioni alla Coltrane. C'è ancora qualcosa da dire, sembrano cantare i quattro musicisti, c'è quella solitudine fruttuosa dell'ispirazione, c'è quell'amore che fa male ma dona gioia, c'è qualcuno che ci ascolterà e capirà, anche se non ora, anche se "non per me" che ne avrei bisogno ora...ma tant'è, suonano con tutta l'anima e si sente e si vede, quasi.
Ho finito... sto quasi piangendo, mi è costata fatica questa recensione, ma mi è servita, e spero soltanto che almeno uno dei lettori senta il desiderio di conoscere questo immenso lavoro artistico, compiuto e perfetto. Per me uno dei capolavori di Coltrane, del Jazz, e della musica di sempre.
Pace a tutti.
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