Guardo le foto di questo disco, la cover e le altre... Hooker è stanco, pensieroso, ha l'ennesima notte insonne e di fuoco alle spalle, ha altro sudore ghiacciato sulla schiena. Stanco, dicevamo, ma iperlucido, teso in una posa plastica e dinoccolata al contempo, un mix tra il contemplativo ed il pronto a schizzare in aria con un balzo, richiamando a sé le ultime energie sapientemente messe di lato, casomai ci fosse da schivare l'ultimo colpo di coda di Satana. I Canned Heat se ne stanno comodi, con l'aria soddisfatta, con sguardi e posture morbide, lente ed accomodate. La notte è trascorsa, pensano gli Heat a guardare la città dalla finestra, ed il blues è stato fantastico anche stavolta, anzi stanotte è stata la più grande experience tra quelle vissute. Ora che le danze si sono concluse, pensano, è ora di godersi un placido sonno ristoratore. Per John è diverso, per John la notte pare non voler finire mai.
Quella che li vide assieme fu una notte di suoni in presa diretta, una notte sudicia, piena d'acari e mille altri microbi immondi. Una notte in cui il vecchio John guidò i figlioletti bianchi e scanzonati un metro più in giù di quanto non fossero riusciti ad andare con l'aiuto di mille droghe. Una notte in cui lo scheletro del blues riuscì con le sue gambe a venir fuori dall'armadio, in questa lurida camera d'albergo. E' Hooker  a condurre le danze, a dettare i tempi, a mandare avanti la zattera; un Caronte protettivo, che sembra consigliare "lasciate fare a me, ragazzi, mi raccomando".
Satana ha già visto suonare i Canned Heat, quando si mimetizzò tra la folla della Summer Of Love; li vide anche al Topanga Corral ed a Woodstock. Li giudicò molto bene, ma troppe erano le bands su cui doveva lavorare a quel tempo, e poi c'era quel casinaro di Richard Manson che ne combinava sempre una di troppo. Come il più comune degli uomini oberati di lavoro, mise la pratica di lato ripromettendosi di studiarsela quando avrebbe avuto tempo, foss'anche la prima pausa pranzo. E come inevitabilmente accade, passano gli anni e la pratica rimane lì, dimenticata. A tre anni di distanza dal '68 è John Lee Hooker che s'impegna  per mandare avanti i ragazzi. I Canned Heat vogliono assolutamente vendere i loro dischi anche ai dannati. E cosa è meglio della classica (e stramaledetta) raccomandazione?
Il vecchio sa bene che col diavolo non è il caso di dilungarsi in preamboli, di perdersi in salamelecchi, ed il modo migliore per bussare alla porta dell'inferno è partire col blues, che tanto chi lo deve ricevere sa già che è lì e cosa c'è venuto a fare. John non ha il minimo bisogno di partnership per rendere sporco a dovere il suo sound, cosiccome per dare ai suoi pezzi corpo, sangue e nervi tesi, ma i Canned Heat fanno un gran bel frastuono tutto attorno alla sua preziosa, imperdibile voce, e poi la band accelera, esaspera, esagera dappertutto, cosicché le parti scarne divengono anoressiche e quelle ricche non sono blues ma blues rock.
Zero preamboli: ?Hey, now you're "Messin' With The Hook". Hai capito chi sono, e sai bene che ti attende. Che aspetti allora? Apri!"
Nessun interesse per la fruibilità, la batteria non c'è, ed il ritmo è il suono sordo del tacco d'una scarpa sul legno fradicio di una croce. Zero schemi, zero frivolezze e pose da re in terra, solo una nota di blues dopo l'altra. Se si parla, se si bisbiglia, se si urla o se si canta; se un assolo diviene riff e se un riff si tramuta in un assolo, chissenefrega. Qui c'è gente che col suono, colla voce e con gli strumenti ci fa il cazzo che gli pare.
Brani lenti e trascinati per i capelli, brani ossessivi, brani sempre più forte! Sempre più forte! e brani stanchi, che vanno per forza d'inerzia nell'interminabile e lentissima discesa verso il fondo di tutto. Il blues è questa discesa lenta ed infinita, un dolore, una puntura che non cessa mai, che anche se nel quotidiano, distratto dai tanti impegni, quasi te ne dimentichi, ma non per questo il dolore smette d'esistere. Un dolore all'anima, per la precisione. Da cui non è certo facile guarire. E guarire poi per far cosa? Bella domanda.
Il re della tenebra accoglie benevolo il vecchio amico, ma non è concentrato su di lui: quello è il suo spettacolo di sempre, quello è l'artista che conosce fin troppo bene, con le solite tematiche, le pulsioni, lo stesso stile. E' impagabile come al solito, "The Hook", ma anche lui non sarebbe lì dov'è se non per quei ragazzi. Il padrone di casa li osserva, li ascolta, e si mette le mani sui lunghi ricci afro: come ha potuto perderseli di vista così? Chiama subito la segretaria, ordina di procurargli  il fascicolo su di loro, non importa se sono le tre di notte e nessuno sa in quale scaffale se ne stia inculato da anni, e non importa neppure se tutto il personale dell'ufficio - riferisce la segretaria -, ella inclusa, stasera è al concerto di John Lee Hooker. Quando finalmente la pratica arriva tra le sue mani, è il momento della consapevolezza: "Boogie With Canned Heat", "Living The Blues", "Hallelujah", "Vintage"... Signori dischi. Ed ora questo "Hooker ?n Heat".
Hooker sa di non essere lui la stella della serata, perlomeno per chi da quelle parti comanda. Sa che non riceverà un adeguamento del contratto, sa che è lì per fare un favore agli altri e non a se stesso, ed infila allora uno dei suoi colpi di mano: regala al padrone di casa "Burning Hell", il pezzo più incendiario, più stregonesco. Ma il blues è figlio del fuoco come del credo. La carne brucia mentre l'anima anela a Dio. E così, proprio nel pezzo più indiavolato, mentre la carne si squaglia, mentre Satana gode, salgono in cielo gli interrogativi più feroci, i dubbi più laceranti, le invocazioni più struggenti. Il blues, infondo, è pregare peccando, ascendere sprofondando, purificarsi l'anima sporcandosi il corpo. Niente preghierine, né tantomeno richieste di miracoloni: indicazioni, suggerimenti, cenni di presenza, dritte, qualcosa come "vai tranquillo, Io non mi sono scordato di te;  Io non sono come un certo amico comune, che si perde le pratiche in giro e poi all'ultimo fa i cazziatoni a destra e a manca scaricando sugli altri le proprie responsabilità".
Quando il corpo brucia all'inferno, da dentro di noi parte una fiammella, che sale ed arriva in cielo. Lì si rigenera per tornare a disinfettarci l'anima.
Sua maestà infernale s'avvede della presa per il culo rifilatagli da Hooker, e sorride: è come se John gli avesse detto "Siamo amici, ok, ma non farti strane idee". "Musicisti - pensa tra sé con una smorfia -: alla fine vogliono solo vendere i loro dischi, diventare famosi, non importa quanto posino da ribelli, quanto siano strafottenti, quanto si dicano incuranti delle mode e delle vendite. Persino coloro che si dichiarano miei seguaci, alla fine pensano solo a vendere, al vile denaro, alla mia invenzione peggiore. Hooker non s'unirà a me, ha trovato il modo di suonare da queste parti tutte le volte che vuole, ma non s'unirà a me alla fine della vita. Un altro paraculo".
Si ritorna a molleggiare in "Whiskey And Wimmen" e si termina col boogie nella sua purezza, in "Let's Move It" e "Peavine": torna la batteria, torna l'arrangiamento da band, e l'inferno salta e balla. A suggello c'è poi un boogie di dodici minuti, terreno fertile per i Canned Heat ed il loro blues sessantottino. Satana ha già firmato la sua parte di contratto, ed a fine esibizione sarà il turno dell'Orso, del Girasole e del Gufo Cieco. "Orso, Girasole, Gufo Cieco: che gran bei nomi!" pensa tra sé, e non può fare a meno di notare come gli stia sorridendo quest'ultimo...
La band s'appresserà timorosa ed emozionata, mentre Hooker attenderà seduto su una poltrona dell'anticamera, a rimestare di quando l'angelo nero non si sarebbe mai sognato di chiudergli la porta del suo ufficio in faccia. Ma quello era il prezzo da pagare per la manifesta volontà di non raggiungerlo alla fine dei suoi giorni. Eppoi gli anni passano per tutti, pensa, e passeranno anche per i Canned Heat. Per adesso questo è il loro momento, non roviniamoglielo.
Guardo ancora i volti della cover e delle altre foto, gli uomini e le loro posture, e capisco: John Lee Hooker è provato, e sembra pensare tra sé: "sto diventando troppo vecchio per certe cose" ed i Canned Heat, stanchi ma felici, un po' sbronzi e stonati, paiono dire: "Avevi ragione, John, l'inferno è senza dubbio il luogo migliore per un live. Quando lo si rifà?".
"Hooker ?n Heat": Hell in a Hotel room.

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