Difficilmente mi ero mai emozionato così tanto prendendo in mano e assaporando un disco nuovo. Atteso ma inaspettato, nella mia mente questo album ha riportato in auge alcuni piccoli eroi della scena progressiva, i Barclay James Harvest, gente che da 45 anni va avanti facendo la propria musica.
Li avevo un po' lasciati perdere dopo aver ascoltato il loro disco '79, il primo senza lo storico tastierista Stuart Wolstenholme. Da quell'anno in poi avevano continuato per la loro strada, passando faticosamente attraverso gli anni Ottanta e raccogliendo un buon seguito soprattutto tra Germania, Svizzera e Francia. Non so bene come sia andata ma il bassista Les Holroyd deve essersi preso sotto col chitarrista e fondatore John Lees; risultato, due formazioni differenti, che nei rispettivi (lunghissimi) nomi riprendevano quello di BJH con variazioni sul tema. Si tira avanti per non so quanti anni, poi nel 2010 Wolly il tastierista, rimasto fedele a Lees, si toglie la vita.
Morale della favola? John Lees, ormai un canuto, simpatico vecchietto che vive nella tranquilla campagna inglese, si mette all'opera. Radunata la sua band di sanguigni omaccioni inglesi, compone, registra e produce praticamente in casa sua un disco nuovo, semplice, onesto, soprattutto un disco progressivo.
“North” ha tutto dei BJH: trame chitarristiche solenni e profonde, voce discrete e affettuose, arrangiamenti corposi che richiamano i pieni orchestrali, il supporto di un'intera sezione di fiati. E tuttavia è un disco moderno, nel suono come nella strumentazione; anche se la qualità della produzione quasi casalinga non è sempre perfetta, essa è spesso compensata da un feeling maggiore, patinato e caldo.
E' un disco che l'appassionato si gusterà tutto di un fiato, perchè ascoltare nel 2013 il tremolo lamento del mellotron è qualcosa di incredibilmente toccante. La canzone è “On Leave”, dedicata al suicidio dell'amico, nove minuti di variegata bellezza con però guizzi di ardore in 5 e 6/8, assoli di chitarra e tastiera. Un perfetta canzone prog come lo sono “Ancient Waves” e “North”. Lunga ballata la prima, delicata ma di buona vena, intensa anche nel testo che parla dei soldati morti in battaglia; la seconda invece è un maestoso e potente acquerello dell'Inghilterra, con moltissime variazioni di ritmo lungo i suoi otto minuti e rotti.
Non mancano pezzi più particolari e persino sorprendenti, come “On Top Of The World”, uno struggente lamento retto esclusivamente dai fiati dei “Frugal Horns” e da rade note di pianoforte. Si racconta dei minatori inglesi, di quelli che nel secolo scorso resero grande l'Impero mondiale e che ora sono dimenticati come lo sono tutti i loro sacrifici. Niente politiche contemporanee o altre bassezze simili, qui c'è solo memoria e orgoglio per un tempo perduto. Altri brividi con “At The End Of The Day”, che chiude il disco: il testo è una poesia di tal Ammon Wrigley, l'arrangiamento solo testiere; mi fermo qui, ascoltare per credere.
I BJH propongono anche ballate più ordinarie come la opening “If You Where Here Now” e “Unreservedly Yours”. Poco più che carine, particolarmente trascurabile la prima nella sua pur diligente banalità, mentre la seconda è più spigliata e curiosa per via dei vari assoli. La peggiore del lotto è “The Real Deal”, uscita male perchè preparata con ingredienti estranei a Lees. Si tratta infatti uno scialbo hard-rock dai toni vagamente roots, che ha sì un testo buono e ben cantato, ma non ha verve e sopratutto dura quasi sei minuti: un'esagerazione. Manca qualcosa? Sì, perchè discorso a parte merita “In Wonderland”; a me personalmente ci sono voluti diversi ascolti per apprezzarla. Di primo acchito sembra una mal riuscita up-tempo un po' sghemba e nemmeno cantata così bene, ma invece si rivela inspiegabilmente intrigante, con un allegro intermezzo di piano quasi jazzato e liriche interessanti, nelle quali Less si prende gioco di questo cazzo di mondo social, connesso e sharato in mille modi. E bravo vecchietto, capace di guardarsi intorno e mostrarci l'attualità con vivace disillusione.
Breve scheda tecnica. Il vero nome del gruppo è “John Lees' Barclay James Harvest”, ma a me piace considerarli affettuosamente come i BJH puri e semplici. John Less si occupa, con la sua anziana voce tremula, di cantare quasi tutti i pezzi, tranne “If You Where Here Now”, “The Real Deal”, “On Top Of The World” e un paio di strofe su “North”; in questi casi la (buona) voce è del bassista Craig Fletcher. Bravi Jez Smith, tastiere (anche se sarebbe stato meglio che usasse un Hammond vero...) e il batterista Kev Whitehead, a volte poco aiutato da un suono non sempre all'altezza.
Questo è “North”. Una piccola grande sorpresa con le sue atmosfere mutevoli e toccanti, i bei testi, il suo prog rivisto in maniera così fresca. Un lavoro dignitoso, frutto di una passione e di uno sforzo produttivo che va senz'altro premiato. Frutto della lunga esperienza di John Lees, dimenticato pioniere di fine anni '60, che non dimentica il suo passato ma che va avanti a testa alta, con la mente sempre ai compari perduti, “best of cronies and streightest of men...”
Nel mio piccolissimo, apprezzerò sempre tentativi di questo tipo e sono particolarmente orgoglioso e soddisfatto di aver acquistato questo disco. Voi, se volete, dateci un ascolto senza esitare.
Grazie e complimenti, BJH.
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