Tra i tanti lavori postumi che furono pubblicati dopo la morte di John Lennon (grandi operazioni commerciali che infangano tutt'ora la sua memoria) abbiamo questo "Live in New York City", messo insieme sotto la supervisione della vedova nera Yoko Ono e pubblicato nel 1986 come secondo disco ufficiale dal vivo dopo il deludente "Live Peace in Toronto 1969". Il disco live, registrato il 30 agosto 1972 al Madison Square Garden durante il festival "One to One" (nato per raccogliere fondi a favore delle associazioni che si occupavano dei bambini mentalmente disabili), comprendeva anche esibizioni di altri artisti oltre Lennon, come Stevie Wonder e Roberta Flack, ma le loro performance non furono incluse nell'album.

Ok, adesso parliamo del disco: per questa manifestazione il nostro John si avvale degli Elephant's Memory, che avevano già suonato nel contradditorio "Some Time in New York City" (un insuccesso sia di critica che di pubblico). L'esibizione si apre con Geraldo Rivera (l'organizzatore di questi concerti) che introduce Lennon e la Ono, e viene anche citato da Lennon durante una improvvisazione nelle liriche della prima canzone suonata, "New York City", supportata ampiamente da un canto corale. Questo brano altro non è che un saluto di benvenuto al pubblico statunitense, anche se canticchiato: notiamo subito che nel live avremo anche la presenza del sax, quasi mai presente sia negli album dei Beatles né tanto meno in quelli di John.

Probabilmente qui, per rendere il concerto più emozianante ed esaltante, l'ex-beatle ha deciso di avvalersi anche del medesimo strumento. Si passa poi per "It's So Hard" che scorre via come un fiume, ma non lascia il segno. Merita invece menzione la ballata "Woman Is the Nigger of the World", brano dagli stampi libertari concepito da Yoko. La canzone descrive e denuncia la condizione di asservimento della donna nelle diverse culture mondiali e pensate che fu anche bandita dalle radio a causa della parola "nigger" (negro) presente nel titolo, sebbene molte personalità di colore dell'epoca si fossero pronunciate in difesa della canzone. Dopo un brano che noi definiamo come "calmo", i toni si alzano leggermente con "Well Well Well", il solito brano cacofonico made in Lennon.

In un certo senso, però, qui viene quasi addolcito leggermente, come se un cuscino ci si fosse messo sopra. La chitarra rugge di meno, mentre la voce di John non è così aggressiva come quella a cui siamo abituati. "Instant Karma!", eseguita qui forse in un modo più frenetico e veloce (con tanto di batteria calcata), introduce la lunga ed intensa parentesi dei classici: infatti poi arriva la cruda "Mother", uguale a come noi la conosciamo nella versione in studio (neanche qui una dimostrazione degna di nota) e, sebbene le canzoni eseguite da John Lennon attingano prevelantemente agli ultimi tre album pubblicati (John Lennon/Plastic Ono Band, Imagine e Some Time in New York City), egli include nell'esibizione anche un brano dei Fab Four, "Come Together", ed omaggia il suo idolo Elvis Presley suonando "Hound Dog". Tra la scaletta abbiamo anche l'inno pacifista per eccellenza, quella "Imagine" che ha fatto sognare e fa ancora sognare milioni di persone in tutto il mondo, e la fredda "Cold Turkey" che non nasconde espliciti riferimenti alle droghe. Il tutto termina poi con una breve "Give Peace a Chance" cantata dagli spettatori, che mette fine al live.

Un buon disco, non c'è che dire, ma non definibile epico o leggendario. Da ascoltare senza impegno, per tutti quelli che ci tengono a passare una quarantina di minuti in compagnia di buona musica.

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