Ho visto John Mayer per la prima volta nel DVD del "Crossroads Guitar Festival" organizzato da mr Clapton nel 2004. Il giovanotto, dopo aver gentilmente chiesto alla folla "can I play for a moment?", sfodera una splendida ballata blues intitolata "City Love", con tanto di intro di sola chitarra, che mi ha lasciato a dir poco sbalordito per una sensibilità del tocco e uno stile chitarristico che ricordano nientemeno che Hendrix e Stevie Ray Vaughan.

Galvanizzato da tale esibizione mi procuro l'album oggetto di questa recensione, datato 2006, per vedere se il presentimento di aver trovato un'artista come cercavo da tanto tempo corrispondesse a verità o meno. Spulciando il booklet la prima cosa che mi salta agli occhi sono i collaboratori di Mayer: Steve Jordan alla batteria (Rolling Stones, Eric Clapton, Bob Dylan, etc) e Pino Palladino al basso (Paul Young, Eric Clapton, The Who, etc), due vecchie conoscenze che mi lasciano ben sperare.

Al primo ascolto però l'album mi lascia completamente spiazzato: le 12 tracce si presentano come una fusione di stili, musiche e parole dove la protagonista assoluta della scena è la melodia e nessun altro. In poche parole la prima impressione è che non ci sia traccia di quella chitarra che tanto speravo di trovare.

Ma la prima impressione, si sa, è spesso sbagliata, e non sarà certo la mia a fare eccezione. Infatti, una volta lasciati da parte i pregiudizi, si capisce che sta proprio nelle melodie il punto forte dell'album. Ad un ascolto più approfondito si sente che l'ombra di SRV è ancora ben presente nei fraseggi di chitarra, ma John, nonostante una invidiabile padronanza dello strumento, ne fa un uso parsimonioso perchè lo scopo di tutto il disco non è sbalordire, bensì "cullare".

I soli sono pesati, mai invadenti, la loro matrice blues si sposa alla perfezione con le ballate come "Slow Dancing In A Burning Room" e "Gravity" e da vitalità alle tracce più ritmate come "Waiting On The World To Change" (primo singolo) e "Belief", che vede ospite un Ben Harper in versione chitarrista ritmico. Mayer infine sfoggia la sua preparazione di musicista nella cover di "Bold As Love" di Hendrix, fedele all'originale ma con un suono molto più moderno, dove la voce del nostro non ci fa rimpiangere il grande chitarrista di Seattle.

Ed è proprio la voce, morbida e sinuosa, che accarezza dolcemente le orecchie dell'ascoltatore e fa scorrere nelle sue vene tutto il sentimento che è racchiuso in ogni singolo brano, sorretta dagli arrangiamenti rotondi e caldi di musicisti consapevoli delle loro qualità. E alla fine John Mayer è proprio questo, un musicista consapevole delle proprie qualità, che potrebbe essere padrone indiscusso della sua musica e che invece ha scelto di essere suo servitore. E visto il risultato si direbbe una scelta davvero azzeccata.

Vi lascio infine con una frase di Mayer stampata sotto i crediti all'interno del booklet che mi ha colpito molto e che credo rispecchi in gran parte la sua visione del mondo musicale:

"If you're reading this with an instrument in your lap - get to work, and deep in it. We all need you." JM

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