A proposito di musicisti sottovalutati e poco fortunati rispetto all'effettivo valore, John Miles (vero cognome Errington, inglese del nord-est) è da annoverare fra quelli più intollerabilmente a credito col destino. La sua carriera era partita col botto nel 1976 (album "Rebel" e singolo "Music" in vetta alle classifiche di vendita), per ridimensionarsi ben presto e trasformarsi in un decoroso gregariato, a favore di "capitani" come Alan Parsons, Joe Cocker, Tina Turner, Jimmy Page, ed alla sempre più saltuaria uscita di qualche disco solista, dai limitati riscontri.
Capita allora di imbattersi in questo "Upfront" del 1993, penultimo(!) album uscito a suo nome, e si conviene al primo ascolto che quest'uomo è un grande: una sicura sorpresa per chiunque (ritengo la maggior parte degli appassionati) conosca solo i suoi poppistici e magniloquenti inizi di carriera.
Miles in questo disco si va a piazzare a metà strada tra un Eric Clapton ed un Gary Moore, proponendosi come cantante/chitarrista di rockblues ortodosso ma di ottima scrittura, lineare ma fisico, retrò ma di classe, riciclando le solite arie rock e blues e rhythm&blues ma con una voce che spacca, una Gibson Les Paul che abbaia con un suono magnifico, non così irruente e debordante come quella di Moore ma ficcante e viva, ed infine una bella alternanza di episodi tosti oppure funky oppure lenti, con le ballate che solo sporadicamente si speziano del gusto pop, la batteria che pesta sempre convinta e nessuna smanceria all'orizzonte.
Dischi come questo non aggiungono nulla alla storia e all'evoluzione della musica popolare, ma sono composti suonati cantati e prodotti così bene, sono così sinceri e curati che è un piacere tenerseli nella propria collezione. E' una valida riproposta, in pieni anni novanta, di musiche messe a fuoco già alla fine degli anni sessanta, ma con il massimo del rispetto e tutta la grinta necessaria, nonostante l'estrema pulizia ed economia di note e arrangiamenti, sinonimo di idee chiare e una preparazione tecnica impeccabile.
Quasi nessun riempitivo nei ben tredici brani in scaletta, anche perché le composizioni originali di Miles sono integrate da altre dovute alla penna di compositori professionisti. C'è di che sbizzarrirsi alla ricerca delle preferenze individuali: personalmente ho un debole per il compatto e ficcante rockblues d'altri tempi "Can't Get Through", per l'ariosa ballata semiacustica "One More Day Without Love", per il blues "Now That The Magic Has Gone" grande vetrina per la voce sonora, piena, esperta, appassionata di John ed infine per l'ode, non si capisce se alla fidanzata o alla chitarra prediletta, "Body Of My Brunette", nel cui ritornello il nostro eroe mostra a tutti come si prendono a squarciagola le note acute, a quarant'anni suonati e dopo vent'anni di carriera, a tutta potenza ma senza rimetterci le corde vocali.
Classe, onestà, umiltà, esperienza, sensibilità, rispetto, coerenza: John Miles.
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