Disco del 2005, si colloca nel periodo forse più prolifico di John Taylor nell’arte affascinante quanto infida del piano solo. Infida perchè comporta spesso il rischio di imprigionare l’improvvisitore nella propria poetica, che lasciata nuda e indifesa davanti al proprio strumento senza il sostegno di fidati musicisti può finire per contorcersi in sè stessa e soffocarsi nell’orribile spettro della ripetizione e della banalità. Ebbene, in Songs and Variations non accade nulla di tutto questo: John Taylor infatti riesce a sfoderare tutta la propria cifra stilistica fatta di raffinatezze armoniche e grande sensibilità ritmica in maniera sempre nuova e vitale.

L’aspetto armonico è senz’altro quello più determinante e quello in cui Taylor si è sempre mosso con estrema facilità e destrezza; anche qui come in altre sue opere l’ambito tonale viene esplorato fino ai suoi estremi, messo in dubbio, alla prova, sotto torchio, ma non viene quasi mai trasceso nè tanto meno abbandonato al suo destino con l’ausilio di facili soluzioni. In ambito ritmico, Taylor ci ha sempre abituato a idee molto originali e pattern percussivi, e qui non è da meno: le sue proposte sono sempre molto nitide e rafforzate anche delle tecniche effettistiche che Taylor ha frequentato e approfondito con successo nel corso degli anni, senza farle risultare mai invasive e anzi collocandole con grande accortezza e coerenza all’interno dell’atmosfera generale del disco (l’esempio più lampante è il brano “Fantasy”).

La ricchezza delle armonie, spesso evidenziata con largo uso di pedale, è anche in grado di sopperire alla mancanza di ampi spazi lirico-melodici, di cui forse in alcuni passaggi si percepisce leggermente l’assenza; ma d’altronde è proprio questo aspetto che lo distingue dai grandi “lirici” del piano solo, da Keith Jarrett a Paul Bley e in generale tutti i pianisti di chiaro stampo colemaniano, e quindi non possiamo fare altro che seguire Taylor nella sua sfrontata ma lucida ricerca armonica, prestando piena attenzione e fiducia a tutti i suoi possibili risvolti. Il punto più alto e compiuto di questo tipo di ricerca si trova a mio parere nel brano “Descent”, un vero e proprio gioiello che nasce da un impianto armonico che si tramuta da subito in una struggente linea monodica, andando a fondere melodia e armonia in maniera incredibilmente efficace nonchè evocativa (per chi vuole cimentarsi, esiste anche un’ottima trascrizione reperibile su Youtube).

Insomma, un disco che offre molti spunti su diversi livelli d’ascolto e in grado di affascinare ascoltatori esperti e meno esperti.

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