Se la mission di Bartleboom è recensire tutti I Bond, James Bond, la mia è quella di recensire I film del passato, in particolare, i film di registi europei che emigrarono in America.

E così, dopo Billy Wilder e Murnau è la volta di Joseph L. Mankiewicz che con “Lettera a tre mogli” nel 1949 si afferma al grande pubblico vincendo perfino due oscar per la regia e la sceneggiatura non originale.

Da un romanzo di John Klempner.

Lettera a tre mogli è un ritratto divertito (il tono comedy è preponderante) ma anche caustico di certa borghesia americana del secondo dopoguerra.

Deborah (Jeanne Crain) Rita (Ann Sothern) e Lora (la splendida Linda Darnell che morirà a soli 40 anni a causa di un incendio sviluppatosi nella propria abitazione) sono tre amiche e mogli, rispettivamente di Brad, pezzo grosso della marina militare americana (Jeffrey Lynn) George, brillante e squattrinato insegnante (un giovane ma già ottimo Kirk Douglas) e Berto, ricco proprietario di una catena di negozi di elettrodomestici (Paul Douglas, fratello maggiore di Kirk).

Un giorno le tre amiche vanno in gita con una scolaresca per un pic-nic ma prima di partire ricevono una lettera da Eva Ross.

Eva Ross, voce fuori campo, affascinante e maliarda donna del mistero che non si vede mai… donna per la quale i tre mariti hanno sempre avuto un debole, forse c’è stato qualcosa “parlano sempre di me” racconta Eva in voice-over, “parlano di quello che potrei aver fatto… se sapessero davvero…”

Nella lettera Eva scrive alle tre mogli che è fuggita con uno dei loro mariti!

Quale sarà?

Le tre donne cercano di celare il loro profondo turbamento, hanno sempre invidiato Eva per il suo fascino, per la sua esclusività, per il fatto che hanno sempre saputo che i loro mariti fossero segretamente innamorati di lei…

Da qui in poi il film mostra il punto di vista interiore delle tre, tra congetture e flash-back…

Il film è davvero riuscito. Anche stavolta do atto a certo cinema del passato di avere dalla sua una scrittura ed una costruzione eccellente. Un rigore assoluto, una cura dei dialoghi, ora brillanti (si ride più di una volta, strepitosa la cameriera di Rita e George) ora corrosivi, cinici.

È interessante rilevare come già nel 1949, l’apparire avesse surclassato l’essere e come il consumismo (da non perdere le critiche di George al mondo della radio, in particolare la sua invettiva contro le pubblicità radio-foniche) stesse già galoppando a briglie sciolte.

100 minuti che filano come un treno diretto.

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