Ci sono io, sopra di lei, in macchina. Sto consumando un banale ma perfetto tradimento. Non me ne frega nulla. Lei è la giustificazione della carne al femminile, io sono affamato e ho avuto fin dal primo istante una gran voglia di farla mia e portarla lì. Ci ho messo mesi perché viviamo distanti. Ma di base tre giorni.  Quelle settantadue ore in cui ci siamo visti e catturati, in maniera palese ed esplicita. Davanti a tutti. Privi di alcun senso della morale. Liberi, svincolati da tutto. Desiderosi di attaccarci e azzannarci. Ma passa anche quello quando ce l’hai. Vado in automatico e penso che non me ne frega niente proprio di me. Guardo fuori dal lunotto posteriore e c’è la notte con Napoli e il suo golfo. Di qua c’è una chiesetta. Ora sono preso dall’esterno. Lo sapevo ma non ci avevo pensato. Se guardo a destra si vede la Costiera Amalfitana. Alle spalle ho Capri. E sotto una che se ne importa quanto me. Siamo sullo squarcio più riuscito che la crosta terrestre abbia mai inflitto alle acque salate.

Era il mio sogno, uscire con i pantaloni e i boxer giù. Vederla ripulirsi e chiedermi di tornare in macchina, che è notte e che ci facciamo lì, dobbiamo ritornare. Poi mi dice che le mancherò. Ma non tanto. Perché lo vedi che sei stronzo? E io più di te. Pace all’anima tua. La mia è inquieta. Non so cosa voglio. Ho ipotizzato un testosteronico salto nel vuoto. Un bagno. Ma su quale versante? Amalfi o Sorrento? Ma perché non me ne vado proprio affanculo? Penso solo a inutili cazzate. Ma sono contento. In fondo ho sempre quello che voglio. Solo la volta celeste mi spaventa, quella è più grande di me. Ma in fondo, di tutti. Contro lei non può vincere nessuno. Lei (la concubina) è bella e scema. Quindi, ignorante. Le chiedo, sempre da fuori, se ha mai letto uno dei miei racconti. Mi dice che come fa ad averne uno se l’unica cosa che abbiamo fatto in due è stato trombare. Penso che ha ragione e mi alzo il boxer. Sono già sicuro che non ne voglio più. Non rientro in auto e mi allontano. Cara è la notte che mi sottrae al suo sguardo. Caro sono io che per una prestazione così ferrea dovrei chiedere gli interessi. Quelli che pago costantemente a lavoro, in una famiglia devastata, negli affari di coppia, nelle finanze dissestate, nei gran cazzi miei e di chi non me lo dice.

Cerco riparo, da quello che gli altri chiamano paura di se stessi. Io ho paura delle cose che vogliono per forza essere pertinenti a me. Ma in fondo non sono io che le genero. Io sono causa dei miei beni. I miei mali non mi interessano neanche. Sono dilatato, scoppiato, partito, perso e preso. Sono "Disorder", l’amore cancellato per sesso. Ci sono anche le "Peel Session" gratuite in un secondo cd. Compratelo. "Love Will Tear Us Apart". E a mammata pure. Mi fai male e mi inchiodi Ian. Mi viene in mente il tuo logorroico silenzio fatto di parole essenziali. Stilettate che sono il mio rifiuto. Sono il mio coso tra le gambe che ora ragiona al posto mio. Sono l’antipoetica che scrive solo le cazzate che tutti e nessuno vorrebbero leggere. Mi do in pasto alla feccia. Ma non mi importa. Sono nel posto più bello del mondo e già questa è una fortuna che neanche Ian Curtis, il Le Corbousier della morte, ha mai avuto. Ian Curtis tu concepivi asetticamente un’idea che hai materializzato. Io, forse, ho solo collaborato al mancato concepimento di un altro bambino. Dio me ne renderà il conto. Ma la lista è lunga e può aspettare. In coda, per favore. Faccia la fila come gli altri.

Sono con lei di nuovo, sanguino dal naso. Lei ride che che cavolo quanta roba mi sono fatto. Io non mi sono fatto, sanguino perché ho un problema con sesso e pressione. "She’s Lost Control". "Digital". Ecco, Digital. Insomma io sono analogico, l’ho già scritto altrove. Ma digital è mefistofelica. Il primo cambio di mondo. Il multi verso. Battono come un cuore depresso dalla scarsa qualità del sangue, basso e batteria, la chitarra è il poco ossigeno per la testa. La pressione è alta. La voglia di non aver combinato tutto questo neanche mi sfiora. Mi sfiora. È lei. La bacio, ci baciamo, mi bacia. Sono stanco, stanco. Stanco assai di vivere per niente. Condanno il mio corpo alla convinzione che però va bene così. Ma la mia trasfigurazione è la parte più vera di me. Mi faccio male. Che mi fa bene. Dai. Mangiatemi. Sono indigesto. "Isolation".

2 cd, brani che cantano lo straniamento e la morte. Poesia digitale, appunto, ritmica nefasta. Chitarra che tocca quelle parti interne di cervello con mano. Voce che timbra il certificato di decesso. Musica contemporanea. C’è chi ne ha fatto una filosofia di vita e chi una di morte. Io sto nel limbo. Grazie Ian.

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