Non so bene cosa sto facendo. Non so a quale titolo mi sto arrogando il diritto di parlare di uno dei romanzi più importanti del '900, la pietra miliare e angolare della letteratura ispano-americana, la sorgente da cui nasce la corrente narrativa del realismo magico. Un libro che annovera fra i suoi maggiori sostenitori Calvino, Sonstag, Fuentes, Bolaño, Cortázar e l'immenso Borges, ed è stato fonte primaria di ispirazione per Marquez (che ne ha preso di peso un passaggio per il celeberrimo incipit di Cent'anni di solitudine); quante speranze ho io di scrivere qualcosa di inedito su Pedro Páramo?
Eppure di cose ce ne sarebbero da dire, su questo testo così esile. È uno strano libro, Pedro Páramo. È facile da raccontare: Rulfo è un minimalista estremo, nei suoi rarissimi scritti ha sempre lavorato di sottrazione (la sua intera bibliografia pubblicata probabilmente non raggiunge le 500 pagine), asciugando la prosa fino all'osso. Nella sua forma finale Pedro Páramo consta di poco più di centoventi pagine: Rulfo ebbe in seguito a dire "se me l'avessero lasciato per più tempo l'avrei sfoltito di altre cinquanta pagine". Eppure così poco spazio riesce a contenere in nuce gran parte della storia e della letteratura del Sudamerica: la scomparsa di una memoria collettiva, le prevaricazioni e le ingiustizie sociali, la disperazione senza voce dei nullatenenti, l'ipocrisia della religione, l'incanto di sperduti villaggi senza tempo, le intricate saghe familiari, la dignità indomabile di donne piegate ma non spezzate dalla prepotenza maschile.
Pedro Páramo fa luce su di un periodo particolarmente buio nella storia del Messico (la rivoluzione zapatista naufragata nel sangue e la guerra dei cristeros lasciarono il paese, negli anni '30, in balia di un élite di potentissimi e spietati proprietari terrieri) pur senza nominarlo apertamente, e si fa carico dell'eredità dimenticata di migliaia di vite umane cancellate dalla violenza del secolo tremendo; parallelamente Juan Preciado nel romanzo diventa il portavoce di tutte le anime senza requie di Comala, emblematica rappresentazione di tutti i villaggi cancellati e irrilevanti nel grande quadro della Storia. Comala, teatro di infernale e perpetua sofferenza, simbolica fin dal nome (la comal è una specie di piatto di argilla usato nella cottura a fuoco lento), è un non-luogo metafisico popolato da spettri e sussurri, da ombre diafane di ciò che è stato, siano esse case, persone, animali o storie: tutto a Comala, fisico o immateriale che sia, è diroccato, fatiscente, eroso dal vento del tempo. Questo, non bastasse, rende quindi Pedro Páramo uno dei più grandi, inquietanti ed efficaci racconti di fantasmi mai scritti. Nel suo essere eerie alla maniera che verrà descritta da Mark Fisher ("non c'è nulla dove dovrebbe esserci qualcosa"), Páramo anticipa di un buon mezzo secolo il concetto di Hauntology. Lo stesso insolito, progressivo disfacimento della trama iniziale richiama alla mente i Disintegration Loops di Basinski: in principio seguiamo Juan Preciado alla ricerca del suo misterioso padre nella perduta Comala, ma una volta giunto al villaggio il personaggio di Preciado inizia ad evaporare metaforicamente, a farsi rarefatto, etereo. Come la storia personale si perde nella grande Storia, la trama del romanzo, in un abilissimo gioco di dissolvenze impercettibili, cambia poco a poco protagonista e va a centrarsi su Pedro Páramo: padre-padrone di Comala, tremendo demiurgo che dispone di vita e morte sull'intera esistenza del paesino (a tutti gli effetti un'estensione della sua persona), summa e archetipo dei tirannici cacicchi che realmente funestarono la società centramericana di inizio Novecento. Páramo ruba, uccide, calpesta, stupra per il suo tornaconto, ma è un personaggio straordinario, complesso, mefistofelico e bestiale, brutale e patetico, a suo modo tragico nell'incapacità di concepire l'amore se non come possesso coatto. Un rancore vivente, viene definito nel libro.
Se Pedro Páramo personaggio è indimenticabile, Pedro Páramo romanzo è caduto un po' nel dimenticatoio. In Sudamerica è materia di studio a causa degli illustrissimi epigoni che ha generato e del contesto storico che descrive, nel resto del mondo la sua fama è opaca come gli spettri lunari che lo popolano; persino da noi, nonostante l'endorsement di Calvino e l'entusiasmo con cui abbiamo accolto il realismo magico sudamericano, resta tuttora un libro per pochi introdotti. Eppure meriterebbe ben altra reputazione che quella di culto: è un meraviglioso pezzo di altissima letteratura.
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