Definire i Kamelot "solo" un gruppo dedito al power metal è limitativo. Limitativo se, come la maggior parte della gente, credete che il power metal sia solo doppia cassa, assoli perpetui, voci sirena tanto sono alte, melodie zuccherose con qualche bel riff ed una struttura delle canzoni sempre uguale o quasi.

I Kamelot sono una formazione power atipica, al pari degli Angra, perché, udite udite, si evolve. Nei loro primi tre album (Eternity, Dominion e Siege Perilous) infatti erano dediti ad un genere più vicino al progressive con brani complessi e poco lineari, mentre con la pubblicazione di The Fourth Legacy (e proseguendo con Karma e Epica) hanno intrapreso un iter sonoro più melodico, per certi versi facile, e vincente.  Nel 2005 con The Black Halo e adesso con il fiammante The Ghost Opera, i Kamelot hanno cominciato ad esplorare lidi più oscuri, gotici con sonorità meno dirette e più cinematografiche (molti pezzi sembrano infatti scritti per un film).

Insomma quello che voglio dire è che se definite con disprezzo i Kamelot come una delle tante  mediocri power metal band che saturano il mercato riproponendo sempre i soliti clichè dei Keepers Of The Seven Keys, con rispetto parlando, vi dico che non capite proprio un cazzo di musica.

Passiamo adesso in rassegna a Karma. Il quinto pargolo della loro discografia rappresenta senza mezzi termini uno dei punti più alti del power metal melodico. La band ha trovato finalmente i giusti equilibri e la voce intrigante e spesso malinconica di Roy Khan offre il suo meglio al pari del lavoro di Youngblood con la chitarra. La produzione, affidata a due maestri come Paeth/Miro, risulta essere estremamente curata, come l'eterogenea scaletta dell'album.

Il sound, come già ampiamente detto, è riconducibile in linea di massima al power, nel senso che viene data maggiore enfasi al lato melodico. Ciò non toglie che ogni canzone sia pregna di atmosfere tristi, cambi di ritmo, break che fanno lievitare il livello delle canzoni. Il brano "Karma" ne è un esempio lampante. I nostri riescono a coniugare suoni orientali e futuristi in una traccia dotata di un crescendo meraviglioso. "Forever" è un altro pezzo da 90, che dal vivo viene puntualmente riproposta per il suo refrain, caratteristico per le linee vocali atipiche nelle quali Khan si esalta.

Altri due a mio parere sono i momenti vertiginosi dell'album che meritano di essere descritti: la meravigliosa suite "Elizabeth" e la ballata "Don't You Cry". La prima si divide in tre parti (per una dozzina di minuti complessivi) di pura estasi e godimento. Prima veniamo cullati nella triste, melanconica e passionale "Mirror Mirror"; poco dopo siamo catapultati senza forzature in un heavy-thrash che risponde al nome di "Fall From Grace". Classe! "Don't You Cry" è una ballad acustica che il chitarrista dedica al padre, scomparso da poco. L'interpretazione da brivido di Khan è semplicemente imperdibile.

Karma è un CD meraviglioso, il punto più alto di una delle band più sottovalutate del settore. Album come questi vanno comprati e sponsorizzati, tutto il resto sono chiacchiere inutili.

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