Il più grande compositore vivente.
Il maestro di musicisti considerati oggi seminali.
Il padre di quella che chiamiamo "musica elettronica"...

Venti giorni fa un'amica mi dice: "Sai che viene Stockhausen a Bari?"

Ed io incredulo: "Ma dai, possibile?"

Tutto vero, l'ente lirico organizza nel suggestivo Auditorium Vallisa, due concerti del celebre compositore.

Venerdi 12 maggio, ore 21.00
La sala si sta già riempiendo, tempo di entrare e prendere posto e il concerto ha inizio con una precisione d'altri tempi.

Un anziano signore sale distinto sul palco, ringrazia il pubblico di essere venuto e in un ottimo italiano dice che stiamo per ascoltare "Hymen".
Il maestro spiega che le luci verranno abbassate perché non c'è niente da "vedere", bisogna solo ascoltare, l'ideale sarebbe astrarsi completamente e farsi portare altrove dai suoni, "tutti", che tra breve sentiremo.

Stockhausen scende dal palco e si sistema nella sua postazione al centro della platea, si fa il buio in sala, un fascio sottile di luce bianca disegna una luna piena che sembra provenire da un remoto lucernaio.

Secondi di silenzio assoluto.

Parte un frenetico zapping radiofonico, speaker tedeschi e interferenze radio rimbalzano nel campo sonoro.
Trovandomi seduto di fronte ad una colonna non posso fare altro che chiudere gli occhi, la musica emessa dal potente impianto quadrifonico, mi avvolge, parto per altri lidi, forse perdo i sensi per un minuto, in questa prima parte mi lascio trasportare.
Si distinguono tra i rumori "l'internazionale" e la "marsigliese", filtrate e rimontate, quasi irriconoscibili, dalle casse posteriori arriva un vociare di folla, un "ambiente". Il tutto va avanti per 50 minuti.
Finisce la prima parte con le regioni 1 e 2 degli "Inni" e non me l'aspetto... lo stacco mi sembra netto, ma è necessaria una pausa, il pubblico applaude.
Cambio posto e mi siedo davanti al mixer del tedesco ed inizia con le regioni 3 e 4 un sogno più lucido.
Le luci del banco di missaggio mi mantengono in uno stato d'attenzione, la posizione d'ascolto ora ottimale, mi spinge ad analizzare ogni singolo suono.
In questa seconda parte sento chiaramente onde sonore generate in maniera primitiva e mi stupisco di come funzionino bene, l'acustica riverberante di questa ex chiesa poi fa il resto. La cosa che più mi colpisce sono i cori dell'inno sovietico che dopo il "trattamento" suonano alle orecchie come archi esotici.
Ad intervalli precisi si ode la voce di un croupier che scandisce: "Messieurs et 'dames, rien va plus..."
Gli ultimi droni riportano la quiete in sala e si conclude tra gli applausi di un pubblico esaltato anche la seconda parte.

Gli inni, "vecchia" di 50 anni è forse la composizione più famosa del maestro che a metà degli anni sessanta registra dalla radio 137 inni nazionali, per poi rielaborarli; una sorta di "Welt Musik" come la chiama il tedesco, una musica del mondo per unire il mondo, una musica carica di un senso utopico che bisognerebbe sforzarsi di mantenere attuale.
Così come attuale risulta questa opera di Stockhausen, una performance che mi lascia letteralmente basito.

I commenti della gente che conosco mi spiazzano, non so cosa rispondere, mi metto in fila per l'autografo e la stretta di mano al maestro (in fondo quando mi ricapiterà?) e poi via, fuori per le vie della mia città che non mi sembra più la stessa.

Ci sono eventi che ti cambiano.

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