Potrei descrivere le sensazioni che provochi dentro di me facendomi sciogliere nella tua voce impossibile, ma Francis in questo è stato encomiabile per il tuo straordinario esordio. Potrei parlare della tua natura angelica che nel tempo si è oscurata in urla e toni gravi da demone oscuro, ma anche questo già bene è stato detto, e NonSonoStatoIo.
Potrei altresì pormi in posizione più critica e parlare di te come di un’artista geniale e poliedrica, eppur umana. Certo, potrei. Ma un punitore dal cuore tenero ha già compiuto tutto ciò in maniera ineccepibile. Non potrò essere originale, Kate, e qualcosa di tutti e tre riecheggerà in quanto dirò; ma lo si consideri allora un omaggio a quanto loro sanno adorarti e a quanto bravi siano stati a descriverlo.
Quante cose vorrei fare, Kate, e quante cose non posso fare. Vorrei essere come la tua voce, eterno e sempre in grado di superare i propri limiti. Vorrei essere come quella voce che mi addormenta la sera, altissima e romantica, inerpicata per le erte distese innevate mentre alla natura selvaggia urla il suo amore; quella voce che riecheggia stridula e impossibile nella testa e poi ti penetra dura nel cuore, tetra e profonda, facendolo tremare di gelo; quella voce che crea in un primo tempo nubi nell’animo per poi dissolverle con un disperato grido di violino.
Ma tutto ciò è parola, e non va bene: te, Kate, vai esplorata, vai assaporata; bisogna viverti, Kate, sublime creatura, delicata come la rugiada nei tuoi video meravigliosi. Ti vedo, ferma eppure così viva e penetrante, nel tuo pelo leonino su quella nuda cassa di legno, la carta da parati illuminata dal sole e dalla tua presenza. E se quanto racchiudi nella cassa magari non sarà immortale come il calcio che mi sconvolse dentro, la tua voce lo renderà comunque meraviglioso.
“Symphony In Blue” è deliziosa, nella sua cadenza parsoniana (Powell alla produzione, Elliott alla batteria e Bairnson – a meno di miei errori - alle fulgide chitarre ne sono l’emblema) e nella sua vocalità avvolgente. “In Search Of Peter Pan” seduce invece in toni da fiaba, le dita di Kate giocano sull’avorio che lei conosce in ogni sua sfaccettatura. Ma come fai ad essere così dolce, Kate? “Wow”, esclamo a bocca aperta, stupore per la tua arte incredibile; ed è esclamazione perfetta, immortale nella sua semplicità. Prende invece piega aggressiva e decisa la bella “Don’t Push Your Foot On The Heartbrake”: l’usignolo nelle sue melodie impossibili è assicurato a terra da un basso efficace e da un arrangiamento allegro. Ma è già tempo di leggenda; “Oh England My Lionheart”: in un clima flautato, una voce angelica e lontana di ere passate ed il suo pianoforte lacerato in accordi soavi a creare magia.
Il ritorno al presente (ma non sulla Terra) avviene in “Fullhouse”, ove la ritmica rarefatta accompagna le mani di Kate in accordi insensati ed allucinati come la voce che le accompagna. Ci si sposta nella stanza tiepida (richiami nel titolo di quel capolavoro che fu pochi mesi prima “Room For The Life”): voce e piano duettano intensi “In The Warm Room”. Segue un altro celebre brano, quella “Kashka From Baghdad” scandita da un basso malinconico (suonato se non erro da Del Palmer) e ricamata da una voce teatrale ed espressiva come poche: traccia di grandissima atmosfera. Ma ecco signore e signori in un tripudio da banda circense ora ottonata ora pungente le evoluzioni sonore della nostra acrobata: “Coffee Homeground” è il numero di questa sera; venghino i signori, venghino. Applausi, certo, ma chiudete gli occhi, ora. La mente è scossa da un “Hammer Horror”, campionario delle potenzialità di Kate Bush: vocalizzi, sovraincisioni, sussurri, ruggiti. La chitarra elettrica può solo tenere il suo passo, nulla più. Incantevole.
L'ellepì è bellissimo, indubbio. Ma chiariamo un punto: non è “The Kick Inside”; la gestazione di questo lavoro (sempre del millenovecentosettantotto) è stata troppo breve in proporzione. Ottimi brani, una grande voce fresca, ma un pizzico di magia in meno: non ci sono Cime Tempestose e uomini con il bambino negli occhi. Ma Kate Bush stava crescendo, cominciava a smettere i panni della musa celestiale e sempre più prendeva a calarsi negli abissi della psiche umana e negli anfratti più oscuri delle sue potenzialità. Nulla è per sempre, dopotutto, come meravigliosamente ci farà capire qualche tempo dopo facendoci sognare e gemere mentre accarezza un contrabbasso.
Sei unica, Kate.
Carico i commenti... con calma