Per la potenza che riesce a trasmettere "The Old Oak" mi ricorda l’ultimo romanzo di Saramago, “Caino”, scritto alla stessa veneranda età. Ci mancherai Ken*, lo dico sinceramente, perché sei un fuoriclasse e non ti sei venduto invecchiando. "Io, Daniel Black" e "Sorry We Missed You" sono lì a dimostrarlo.
È una società in disfacimento quella che ci immortala Loach nella sua ultima opera. Non solo, perché è anche rassegnata e tremendamente incazzata. E allora c'è del genio nella semplice immagine iniziale del protagonista, lo stanco proprietario di un vecchio pub fatiscente, che tenta inutilmente di raddrizzare l’ultima lettera dell’insegna sbilenca.
Fotografie in bianco e nero tappezzano le luride pareti del retro del locale. Click che ricordano la storia passata, lontana anni luce, di un paese vivo, una comunità solidale e forte legata a doppio filo all’industria mineraria fino alla crisi economica che ha lentamente ed inesorabilmente travolto ogni cosa. I sorrisi ormai sono scomparsi e per rendere la quotidianità accettabile così si fa? Ci si aggrappa ad una periodica sbronza. Ora impera l’egoismo, la diffidenza, la paura. E allora il paese che ha perso quasi tutto li cova dentro tutti questi sentimenti marci, violenti, meschini ed indegni che li macerano lentamente e li consumano.
Se c’è ancora umanità, allora si trova sotto uno spesso strato di delusioni e fallimenti personali che si sono sedimentati nel tempo per formare una roccia dura, quasi inscalfibile. C'è il nostro antieroe TJ, quello della scena iniziale, pronto a darci delle picconate. Le prime sono incerte ma dopo diventano più convinte. Ha fatto i suoi errori: una vita piena di rimpianti e rimorsi ma è una figura troppo buona e sincera per questo mondo.
"È il Nostro Pub, TJ!", "Questa è la Nostra gente!", "Questi siamo Noi! Prima la Nostra gente! Che se ne tornino a casa Loro".
La coraggiosa Yara e quel bus di disperati è paradossalmente una manna per il paese perché ora, finalmente, hanno un bersaglio fisico su cui far esplodere la loro frustrazione inespressa da così tanto tempo. Non importa se sono profughi siriani che scappano da 12 anni di guerra, morte e distruzione. Il gruppo locale si rafforza e il Noi è ciò che prevale quando le cose non vanno lì, nella giusta direzione. E cazzo non vanno lì dalla notte dei tempi ormai!
Non è colpa Nostra ed allora deve essere per forza Vostra, rifugiati bastardi! Arrivate dal nulla e pretendete di venire a mangiare nel Nostro piatto. Tornatevene a casa Vostra. A morire.
È più facile chiudersi a riccio che guardarsi in faccia, come allo stesso modo è più facile badare al proprio triste e fatiscente orticello. Non c’è accusa o moralismo è un dato di fatto. Loach ci fa entrare nei dialoghi generalisti, populisti e al veleno. Li ascolto e trovo impossibile non specchiarmi nella mia quotidianità quando mi mordo la lingua fino al sangue e resto in silenzio al lavoro incapace di rispondere. Vigliacco e silente. Come TJ dietro al bancone mentre spina tristi pinte all'inizio del film.
È un'opera semplice, quasi banale, ma riuscire a inquadrare così bene il lato viscido dell’essere umano è dannatamente difficile. Qualcuno ha scritto qui su Debaser che Loach è uno dei pochi ad avere i quarti di nobiltà intellettuale per poter camminare a testa alta e fare questi film. Chi lo ha scritto ha ragione e la sua filmografia parla chiaro! Dialoghi secchi, ritmi cadenzati e implacabili, cambi di inquadrature netti senza sfumature, colori grigi, primi piani intensi ed un lavoro minimale di telecamera per un quadro passionale e scevro di retorica.
TJ da disilluso credeva veramente che qualcosa fosse infine cambiato in meglio stavolta ed invece viene spazzato via dal tradimento dei suoi più intimi conoscenti. Sembra il solito finale da K.O., con uno dei soliti uppercut al mento devastanti. Ma Loach questa volta cambia ed un po' di timida e silenziosa speranza ce la vuole regalare. E io no, stavolta non la rifiuto.
P.S.* Loach in un'intervista ha detto che per motivi di età questa, molto probabilmente, sarà la sua ultima opera cinematografica.
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