"Saremo ancora romantici
ed entreremo nella densa foresta,
in cerca di fiori d'argento,
di aerei invisibili calici.
Sulle pietre, all'ombra seduti,
respireremo la frescura
dei verdi regni incantati
delle liane e della fonte pura"
Chissà se è mai possibile descrivere davvero cos'è l'estasi.
L'estasi come di due corpi che si cercano frangendosi l'uno contro l'altro come l'onda fa con lo scoglio. L'estasi dei colli reclinati, del respiro corto, l'estasi di un capogiro d'amore e della labbra che mordono labbra. L'estasi delle mani che intrecciano mani, mani unite nel silenzio d'un bacio come in una preghiera. Ma soprattutto l'estasi degli occhi che si chiudono e del ritrovarsi comunque, di capirsi a silenzi e di parlarsi a sbuffi e a sorrisi. È questa l'estasi. Quella degli occhi socchiusi e della testa perduta in quello sguardo e nelle note di un disco come questo.
Un disco mesmerico. Un disco ipnotico che ti rapisce e che abbatte ogni tua difesa, ogni tua piccola, inutile quotidianità. Perché questo è un disco non comune, è un disco che trascende. Un disco fatto di telepatia fra due colossi del jazz. Un disco da ascoltare ad occhi chiusi, per poi riaprirli e trovarsi sul viso una cascata di capelli biondi che rilucono, come accarezzandoti. È questa l'estasi, ed è perdutamente d'estasi anche l'incipit di "Twilight Song". Con la mano destra di Barron che si muove lieve e sapiente sul pianoforte a disegnare gocciole di note che rilucono splendenti come in un arcobaleno cromatico. Fino a trovare lentamente, senza quella fretta che avvelena ogni nostro gesto, il barlume della tonalità. Una ricerca musicale sapientemente guidata come un filo d'Arianna dal basso di Haden, nel colossale labirinto musicale costruito fra blues ed improvvisazione dal pianismo di Barron.
"Mi trovo nel vento tutto cristallino, quanto più mi perdo, mi trasformo e fuggo dell'inquieto mondo di un tempo"
Un album dal vivo, questo. Un album dove anche gli applausi del pubblico sembrano parchi, timidi, quasi a non voler violare una creatività artistica che ha dell'assoluto, dell'irripetibile. E soprattutto un album che pulsa di vita, di rinascita. E sono i dieci minuti di "For Heaven's Sake". Che mentre la riascolti è come se sentissi quella guancia premere contro la tua, in quel tema cullante e accogliente, dove muguli dentro di te le note profonde ed oscure di Haden che tremano come la tua mano mentre l'accarezzi. O l'estasi solipsistica di una lunga cadenza solitaria di basso, come in "Body and Soul", o la giocosità incerta e tinteggiata a forte tinte blues in "The Very Thought of You". O ancora il diadema musicale che riluce come di tenera malinconia in "You Don't Know What Love Is". Quella tenera malinconia di quando ti sentivi corona di un fiore senza petali, ed invece eri solo una corolla richiusa a pugno su stessa, che ancora doveva sbocciare.
"Stella fredda della tua mano. Tenue cristallo, esiguo fiore. Ah nevica amore!"
No, ora non nevica più amore. Ora aprile è qui, è primavera, è rinascita. E "Spring Is Here". È in assoluto questo il capolavoro del disco. La primavera è qui. C'è tutto, in questa versione di "Spring Is Here". C'è commozione, c'è tenerezza, c'è un brodo primordiale dell'anima che brulica di vita. Un big-bang che crea esplodendo luce, dove le note del basso di Haden salgono dal profondo per ribollire come in una mistura di colori, mentre le note del pianoforte di Barron svolazzano come petali che si rincorrono nell'aria. Petali che paiono neve. E con che dolcezza la mano sinistra di Barron dipinge una vera e propria aurora armonica, su cui il pensiero di una notte qualunque rotola felice verso l'estasi di un nuovo giorno, come un bimbo spensierato che scende da uno scivolo.
Perché davvero
La vita, la vita, la vita
solo è possibile
reinventarla.
Come fa la primavera, che è ancora qui, ad ogni Aprile.
[I versi di questa recensione sono della poetessa brasiliana Cecìlia Meireles]
Carico i commenti... con calma