I Kent nascono come una delle tante band Indie che han voglia di fare casino nei garage, quattro musicisti inesperti di Eskilstuna (Svezia) che un giorno del 1993 decidono che Stoccolma è un porto più frequentato, una vetrina più esposta, ed allora lì si spostano per trovare un trampolino di lancio.
Joakim Berg, Martin Sköld, Markus Mustonen e Sami Sirviö, quest'ultimo finlandese, hanno stretto un patto di sangue, sono una squadra che vuole mettere in gioco tutto ciò di cui dispone per diventare non solo una band di rilievo, ma una delle cose migliori che la Svezia possa offrire sul piano musicale. Stando agli esordi, ad un primo ascolto non sembra che abbiano molto per differenziarsi da mezzo milione di altri gruppi di ragazzini con un minimo talento nel suonare le chitarre e poco più, il primo disco omonimo ("Kent", 1995) è qualcosa di così diverso da tutto ciò prodotto successivamente che difficilmente si riuscirà a ricondurlo a loro, a partire dalla copertina, il font utilizzato, l'immagine, lo stile grafico e i contenuti musicali fortemente prematuri. E' solo tendendo un po' l'orecchio oltre i muri di suono che ci si poteva accorgere che dietro a quegli acerbi colpi di plettro si nasconde un'anima grande, maestosa e tragica: questo "Verkilgen" segue l'album d'esordio ad esattamente un anno di distanza, viene pubblicato nel 1996 per cavalcare l'onda di buoni consensi ricevuti grazie al disco precedente e dà inizio a qualcosa, qualcosa di importante (almeno per la Scandinavia).
I Kent, quelli veri, iniziano da qui. L'apertura con "Avtryck", la punkeggiante "10 Minuter (För Mig Själv)", i singoli "Kräm" e "Halka" per quanto godibili e dal suono fresco non riescono a staccare molto l'immagine della band da quella che si era creata solo un anno prima, vale a dire un prodotto di buon Indie Rock senza troppe pretese, ma è ascoltando il terzo ed ultimo singolo che si intravede la grandezza che verrà: "Gravitation" è il primo assaggio di un futuro splendidamente triste, il primo vero e proprio inno alla malinconia, esempio di quella musica straziata che i Kent faranno loro bandiera, Joakim Berg inizia ad esprorre il proprio ego turbato lanciando sassi contro la propria anima. "Come una legge perfetta e bellissima, perfetta ed indistruttibile, come me". Berg infatti a partire da qui verrà colpito da innumerevoli coltellate autoinflitte ma ognuna di queste verrà cantata, sempre di più, sempre meglio, Berg che scrive tutto e lo colora coi toni cupi e gelidi della sua adorata terra. "Istället För Ljud" è un altro segno dell'evoluzione in corso, calma e tranquilla nelle strofe e burrascosa nei ritornelli, a far capire che finora s'è scherzato ma guarda un po' che siamo in grado di tirar fuori non appena cresciamo un po'. Tanta voglia di uscire dal guscio, ragazzini che vogliono essere grandi, neanche un secolo in quattro, desiderio di infinito: "Em Timme en Minut" con un po' di esperienza in più sarebbe stata un capolavoro, resta una gran bella incompiuta con oltre cinque minuti strumentali riempiti da sovraincisioni di chitarre ruvide ed aspre. "Vi Kan Väl Vänta Tills Imorgon" è invece il primo tentativo di chiudere il disco in un certo modo, un modo che i Kent hanno (quasi) sempre capito alla perfezione, l'ultima traccia deve avere qualcosa di epico da urlare, qualcosa che ti graffia l'anima e ti rimane piantata in testa e qui ci provano con quel fare ancora da sbarbatelli, riuscito solo a metà. Per ora.
Questa è la prima vera goccia di un vaso che per fortuna ad oggi, nel 2011, è ben lontano dall'essere colmo: i Kent supereranno presto la fase Indie di questi esordi per approdare prima ad un Alt-Rock radiofonico e cervellotico quanto basta per essere ribattezzati "i Radiohead svedesi" (1997-2002), poi ad un cupo e lacerato periodo di Rock adulto (2005-2006) ed infine metteranno in secondo piano le chitarre per abbracciare l'elettronica (2007-oggi), un'evoluzione piena e continua, con la bellezza nostalgica che fa da collante a tutto. "Come una legge perfetta e bellissima", appunto.
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