"Qual è l'ultima canzone che avete suonato stasera? E' stato il brivido più intenso della mia intera vita". Parole di Bob Dylan, rivolte ai Kings Of Leon.

Credo che sia il sogno di chiunque, suvvia, che il signor Dylan pronunci queste bellissime parole. Chissà se il buon Caleb è svenuto, ha abbracciato felice il vecchio Bob, o semplicemente ha sorriso compiaciuto, consapevole che il nuovo lavoro della sua band ha raggiunto delle vette indiscutibili, oltrechè inaspettate.

E così, cari miei, da discreta band di garage rock e poc'altro, i K.O.L. si guadagnano la medaglia d'oro per il salto in alto più clamoroso dell'anno. Non ci sono altre parole per descrivere questo strabiliante terzo album "Because Of The Times", un incredibile disco rock denso e roccioso che sembra saltar fuori da una polverosa cantina chiusa sin dagli anni '70.

Palle quadrate, si diceva, già dalla possente apertura "Knocked Up", sette minuti abbondanti in cui la voce (in forma stellare) di Caleb Followill si adagia su una melodia scarna e basata sul basso, ma interrotta da mitragliate ora di batteria, ora di chitarra elettrica. E' comunque tutto il disco a sprizzare qualità da tutti i pori, da "Charmer" (sorta di capocciata fra un Eddie Vedder bello incazzato e un Kele Okereke positivo all'etilometro) a "On Call" (ottima ma rappresentante il lato più commerciale - e commerciabile - dell'opera), dalle sfuriate hard di "McFearless" e "Black Thumbnail" alla vena filoclericale di "The Runner", sino ad arrivare a "My Party", quattro minuti e dieci secondi netti di sfrenato punk-funk che spazzano via in un sol colpo l'intera discografia dei Franz Ferdinand. Come non segnalare, poi, il ritmato singolo "Fans", in cui Caleb si diverte fingendosi afono. "Arizona", poi, è la chiusura perfetta anche nel titolo, che ne evoca in maniera pienamente esaustiva le atmosfere.

Una musica che sembra provenire da tempi e luoghi lontani, polverosa e rétro (comunque mai nel senso dispregiativo del termine) ma ben scolpita e smussata, che riesce ad essere sia bastone sia carota, un pugno in faccia o una carezza rinfrancante, ma sempre e comunque qualcosa di chiaro ed inequivocabile. Della voce di Caleb Followill abbiamo già accennato, è sicuramente il mezzo che dà la giusta quadratura del cerchio (con la sua espressività che ha ormai raggiunto livelli spaventosamente incisivi) ad una proposta ormai matura e consapevole.

Il sentiero della buona musica, in questo 2007 ormai inoltrato, passa anche dal cortile dei Kings Of Leon.

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