Non appena ho appreso che era uscito un nuovo album di Klein, sapevo che avrei dovuto in qualche modo esorcizzarlo. Parlare di questo progetto non è facile: poche le informazioni reperibili su questa artista anglo-nigeriana che è una delle più interessanti artigiane dell'elettronica contemporanee.

Non facile anche perché ascoltare i suoi lavori è un tour de force, visto che calano sapientemente il fruitore nel disagio e talvolta nella paura vera e propria; non scorderò mai Star in the Hood e la sua black star, con quel loop di poche note che ti gela dentro: molto più disturbante di Bowie.

Stavolta Klein, che mi ha spaventato già con la cover, propone un album dove è ancora presente l'amata tecnica del sound collage, infarcito però di drone e scariche di violento rumore nerissimo; marked inizia lieve col sample di un piano - lo-fi come piace a lei - per poi piazzare una bordata noise terrificante; in gully creepa si accavallano riff metallici in un'atmosfera da incubo, e si continua tra drone demoniaci, jumpscare e intermezzi cantati che danno l'illusione della tranquillità prima della bufera. Vari i generi sfiorati, da una semibase rap a passaggi soul; talvolta, poi, sembra di ascoltare una band black metal norvegese anni'90 che registra in mezzo alla foresta, talaltra un progetto come The caretaker.

Inutile che mi dilunghi ancora: certa musica va solo ascoltata e poi maneggiata con cura...

Alla prossima.

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