Oggi ho deciso che volevo approfondire un gruppo industrial tedesco con curioso e misterioso acronimo, gruppo direi anche incredibilmente prolifico, tanto da aver sfornato una miriade di album in più di trent'anni di carriera. Visto che ho deciso di sceglierne uno per la recensione, ho visto bene di spararmeli tutti in una sessione mozzafiato. Dopo attenta valutazione la scelta è caduta su Symbols, o almeno così viene identificato il loro disco del 1997, con copertina davvero molto figa quanto indicativa. Vi è raffigurata una tipa piuttosto minacciosa, che prende a ceffoni un povero malcapitato, "simbolo" probabilmente di un disco non propriamente pacifico. Prima di passare al succo direi che fa gusto anche aggiungere un po' di contesto malsano: la musica dei KFDM è tristemente associata alla strage di Columbine School del 1999, poiché due scellerati - responsabili di un sanguinario omicidio di massa - erano dei loro accaniti fan. A prescindere dal fatto che il comporre musica sovversiva-ribelle è un motivo un po' blando per far scattare l'accusa di istigazione alla sparatoria, ma in questa società deviata tutto fa brodo e notizia, non escluderei quindi che la morbosità imperante delle persone abbia aumentato l'interesse nei confronti del gruppo.

Tornando a questo Symbols, è un bel disco, non perfetto ma confezionato decisamente bene. Quello che salta subito all'orecchio è lo stile techno-elettronico col quale si manifesta uno spirito comunque di stampo industrial, non l'elettronica sofisticata e purposeful di un Trent Reznor, quanto piuttosto qualcosa di più assimilabile alla dance, quella che ti fa muovere il sopracciglio a tempo. Il tutto viene definito più semplicemente come electronic body music, e l'apertura è già da togliersi il cappello, anzi forse direttamente l'episodio migliore: Megalomaniac si apre con un arpeggio elettronico davvero molto nineties, mentre una lirica in tedesco introduce pesanti riff e bassline distorta. Infine arriva la drum machine, lineare e potente, e si vola in pista. Il brano ha un fascino davvero irresistibile, grazie a uno sviluppo in continuo crescendo, vari stratagemmi sonori e i piacevoli inserti vocali. Non è originalissimo e lo spessore culturale piuttosto ridotto, ma l'effetto finale è più che ottimo. L'album ha però un altro momento notevole da regalare, Anarchy, dove l'atmosfera si fa più seriosa e il beat rallenta assumendo connotazioni dark, ma il brano è comunque di stampo pop e sfocia in un refrain memorabile. Rimane la voglia di ascoltarla ancora, e non è un complimento da poco. Altri momenti indovinati sono Stray Bullet, molto simile a Megalomaniac, e la successiva Leid Und Elend, anche in questo caso dotata di un refrain con riff decisamente accattivante. Mercy strizza l'occhio addirittura al funk e io ringrazio.

Non tutto funziona come dovrebbe, altri brani non sembrano possedere la stessa carica trainante, suonando più come filler, ma Symbols recupera decisamente con la conclusiva e fenomenale Waste, il brano anche più duro dell'album, una folle corsa rappresentata da cambi ritmici, cadenze marziali e martellanti riff di chitarra. Degna di menzione l'ottima prestazione della cantante di supporto Lucia Cifarelli. Disco molto piacevole questo Symbols, sicuramente uno dei più accessibili da parte della band tedesca, e se vi prende bene ne avrete di roba da ascoltare.

Carico i commenti... con calma