Il mondo del Depressive Black metal è sempre più affollato di sedicenti aspiranti suicidi che ci si aspetta che non arrivino mai alla Release successiva (invece ci arrivano eccome, gli infami!); cloni di Xasthur, Leviathan, Abyssic Hate e compagnia bella spuntano come funghi, di solito appoggiandosi a qualche grande nome per fare uno Split e dire al mondo che anche a loro la vita non piace. Così il Depressive Black inizia ad essere inflazionato e oggi, nell'anno del Signore 2008, ci si domanda come mai aumentino i depressi e non i suicidi: strano eh? Ma tra questi c'è anche chi ha deciso di non fare finta di avere il cappio intorno al collo e di essere sul punto di farla finita pur non rinunciando a suonare Depressive Black.
Il suo nome è Dario Derna, il nome della sua One Man Band (strano eh?) è Krohm; il tizio è italo-americano e nel metal estremo non è proprio nuovo. Già, proprio il nostro Dario aveva suonato negli Evoken (importante gruppo Funeral Doom) e nei Funebrarum (seminale gruppo Death) verso la metà degli anni novanta per poi chiudersi in un mutismo artistico durato fino all'inizio del nuovo secolo. Fu allora che fondò il suo progetto musicale, Krohm per l'appunto, in cui si riproponeva di fondere la dolcezza di melodie vagamente Doom con il malessere e la frustrazione dell'ormai grandicello Depressive Black; sì, perché gente come Judas Iscariot, Shining, Silencer, Forgotten Woods, i già citati Abyssic Hate, Xasthur e Leviathan e (last but not least) Burzum, avevano già fatto il loro porco lavoro. Ma permettetemi di fare due nomi che, al fine di descrivere la musica di Krohm, sono molto più significativi dei molto più importanti gruppi da me succitati: Dolorian e Forgotten Tomb (specialmente i nostranissimi secondi). I
l nostro Dario, per quanto non avesse l'onere di creare il genere da una costola del Black, aveva comunque scelto una strada più personale; di certo i suoi concorrenti sarebbero stati di meno, ma riuscire a far andare d'accordo Black e Doom non è poi così facile. Eppure lui ci è riuscito. Ci è riuscito nelle sue due Demo ("Slayer Of Lost Martyrs" e "Crown Of The Ancients", ristampate nel 2005) e ci è riuscito nel suo capolavoro ("A World Through Dead Eyes"). Ma ci riesce solo in parte in questo nuovo "The Haunting Presence"; dico questo con la quasi certezza che fan e critica mi daranno torto, ma in fondo questo è un sito libero e se scrivo qui è proprio per la Divina Libertà che regna su queste pagine; in altre parole me ne stra fotto.
"A World Though Dead Eyes" mi aveva rubato il cuore; una foto controluce del malessere e della solitudine. Questo nuovo album ci riprova; ma come può competere una macchina fotografica digitale con una reflex? Stesso soggetto, stesso "fotografo", ma la foto è spenta e anche un po' sfocata. Una chitarra lacrimosa e oppiacea sciorina riff svaporati, troppo svaporati, che raramente lasciano il segno. La colpa non è della produzione; il suono infatti è cristallino (come ormai va di moda per i moderni gruppi Black) e ricco di Delay mai esagerati. Anche gli arrangiamenti, quando presenti, sono delicati e discreti. Il problema è che il nostro, nel tentativo di rendere il Sound straniante e lisergico, ha pensato bene di sovrapporre troppe tracce di chitarra in un'operazione che mi ha ricordato molto quella effettuata dalla mente di Blut Aus Nord nell'ultimo "Odinist". Il risultato è un suono confuso che non permette ai Riff di penetrare nella mente dell'ascoltatore, che li maschera, li scioglie. Tutti sanno che io amo i suoni ottundenti ma prima che mi tacciate di essere contraddittorio, provvederò alla mia difesa.

"Nel Black Metal devi ricercare le sensazioni più che i suoni" mi diceva il Maestro Fallen quando mi seguiva nel mio noviziato. Fu così che imparai ad apprezzare i ronzii e le rasoiate di Xasthur e Striborg; i loro Riff lontani e sfumati, la loro arte nel musicare i sentimenti con la stessa spontaneità con cui essi sorgono. Ma più di ogni altra cosa, negli artisti da me nominati poc'anzi, io amai la loro attitudine minimale. Krohm fa l'esatto opposto; non rende il suono "atmosferico" usando come strumento il minimalismo ma usando la ridondanza e l'eccesso. Il disco perde la propria fisionomia; resta il talento compositivo di Dario Derna, notabile in alcuni riff tipici del suo gusto musicale ("Bleak Shores", "Lifeless Serenade"), ma l'inquietudine schietta e aspra del suo precedente disco si è persa per strada. Rimane eccellente il suo screaming, rabbioso ma comunicativo, ma il Songwriting presenta dei buchi; molte idee sono bellamente buttate via. Mi è spiaciuto molto dover dare solo la sufficienza a questo disco e non nego di aver avuto molte aspettative a riguardo; la realtà purtroppo è stata matrigna.
Segnalo a titolo informativo la presenza di due pezzi in italiano, "I Respiri Delle Ombre" e "Tra La Carne E Il Nulla". Mi viene spontaneo paragonare la parabola musicale di Krohm a quella dei Forgotten Tomb: dopo un lavoro veramente emotivo ("Slayer Of Lost Martyrs/Crown Of The Ancients" per il primo, "Songs To Leave" per i secondi), sono entrambi riusciti a dare una forma più matura alla propria proposta ("A World Through Dead Eyes" e "Springtime Depression"). Entrambi hanno poi voluto tentare di fare il grande passo e di rendere più auliche le loro intenzioni; il risultato è stata una parziale abdicazione a quello che era il sentimento devastante espresso nei primi lavori ("The Haunting Presence" e "Love's Burial Ground"). Se il prossimo passo del nostro deve rispettare il parallelismo coi Forgotten Tomb ed essere paragonabile a "Negative Megalomania", non resta che temere per le sorti di Krohm.

Elenco tracce e video

01   Bleak Shores (07:25)

02   Lifeless Serenade (09:37)

03   I respiri delle ombre (07:15)

04   Relic (07:46)

05   Memories of the Flesh (08:17)

06   Tra la carne e il nulla (07:08)

07   Syndrome (09:07)

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