Primo capitolo di una serie di dieci minifilm girati nel 1988 e presentati l'anno seguente a Venezia, "Decalogo 1" è un affresco, grandioso nei toni quanto dimesso nelle immagini, di un storia comune e per questo eterna.
Il piccolo Pavel vive con il padre nella periferia polacca della fine degli anni '80; le giornate passano tra i giochi con gli amici e le ore passate con la zia paterna. La sua vita è distesa e semplice, ma non lo è quella del mondo intorno a lui, che sembra brulicare di sventure e di una cupezza di fondo degna del teatro greco. Il padre insegna all'università, ed è uomo di scienza, nel senso più ampio ma anche più povero del termine; è convinto che tutto possa essere misurato pesato e classificato dall'uomo, con l'aiuto del fidato computer. Di contro a lui sta la zia del bambino, cattolica e convinta della bontà divina. Il piccolo Pavel, posto tra questi due fuochi, continua la sua maturazione interiore, fino al giorno in cui il padre lo aiuta a stabilire se possa o meno pattinare sul laghetto ghiacciato dietro casa. La risposta offerta dai calcoli del computer è positiva e il bambino il giorno seguente va sul laghetto. Il film si chiude con la sconfitta del padre e con una tragedia ormai annunciata.
Complessa e profonda, la scrittura di Kieslowski non ammette facili letture, risposte esaurienti; è per questo improbabile nonché fuorviante presentare la pellicola come un tentativo di mostrare come l'allontanamento dalla religiosità possa portare a conseguenze nefaste. A mio avviso non si tratta neanche di un tentativo da parte del regista di stigmatizzare la concezione che i contemporanei avevano della Scienza, e della loro civiltà di crisi prodotta dalla fede nella Scienza e nella Ragione.
È vero che nel film si respira un'aria cupa e pesante fin dalle prime battute, frutto anche delle ambientazioni della periferia più triste, dove figure umane senza volto si aggirano tra scheletri di palazzi in stato di semi-abbandono: ma questo clima non è tanto il risultato di un'epoca di crisi globale, dovuta alla mancanza di valori cristiani, quanto piuttosto lo sfondo ideale che il regista vuole conferire alla sua rappresentazione, per certi versi associabile al clima del teatro tragico.
Teatro tragico con cui Kieslowski condivide alcune modalità espressive e soprattutto al tecnica del climax; il cammino che porta il padre alla consapevolezza della morte del figlio è lungo scandito da tappe fisse che ricordano l'analogo percorso interiore di Edipo. Lo spettatore, ignaro come il padre dei fatti accaduti, è portato da subito a pensare al peggio: una boccetta di inchiostro si rovescia sulle carte del professore, poi sulla scrivania, e poi si riversa come un fiume sulle sue mani, macchiandole di come di un "sangue letterario", l'unico che possa toccare un individuo simile. Ma il padre non è un uomo gretto, è affezionato al figlio di un legame sincero, e contemporaneamente la zia religiosa, profondamente cattolica, non fornisce essa stessa l risposte esistenziali che il piccolo Pavel vorrebbe. In un gioco di scrittura sempre complesso, nel mondo di Kieslowski Bene e Male non si trovano in competizione, non sono separati in modo netto a rassicurare cuori fragili di persone mediocri.
Credo che il messaggio del film stia nel considerare il comandamento di riferimento "Non avrai alcun Dio all'infuori di me" da un'angolazione meno ecclesiastica e più universale. La Scienza a cui devoto il padre non è la vera scienza: egli ha due computer, uno di cui si serve per fare calcoli, nero, e l'altro, bianco, che non accende mai, di cui egli stesso è timoroso. Talvolta questo secondo computer bianco si accende da solo, e tenta un dialogo, scrivendo "I am ready" sullo schermo. Ma il padre non è sincero servitore del suo dio, e preferisce la scienza minore del computer nero, il quale lo indirizzerà male provocando la morte del figlio.
Che il Dio da servire non sia poi quello biblico lo dimostra la vicenda della zia, cattolica e anch'essa distrutta dalla morte senza senso del nipotino. Sembra quindi (almeno a me) più chiaro come il messaggio del film consista nell'invito ad abbandonarsi con sincero trasporto alla "divinità, chiunque essa sia, simboleggiata dall'icona della Madonna Nera che piange alla fine del film o dal computer bianco, sempre in cerca di un contatto con l'uomo. Nello sconcertante affresco del film, l'autore presenta invece due figure umane ma mediocri: uno scienziato che sotto sotto non crede ai suoi calcoli ed una credente ferma all'apparenza della fede.
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