La fine del suo decennio d’oro, Komeda non la vedrà mai.

C’è questo tale Krzysztof Trzciński, altresì noto come Krzysztof Komeda (27 aprile 1931 – 23 aprile 1969), giovane caro agli dèi, dalle cui dita e dalla cui testa promanava una peculiare frenesia. E c'è chi di questa frenesia fece un requiem.

Prendete ad esempio il cinema polacco di quel periodo. Cosa sarebbe senza Komeda? Uno sputo sull’asfalto.

Prendete Le départ di Skolimowski, orso d’oro a Berlino del ’67 (per non parlare dei film di Polański o di Andrzej Wajda): c’è Jean-Pierre Léaud, commesso di una parrucchiera poco più che ventenne, che gira e si dimena, cercando forsennatamente di dar corpo alla sua ossessione. Cerca una macchina per correre, ché la velocità è lo scopo della sua vita, l’unico e il vero. E fa di tutto per averla.

Certo, chi non ama l’enfant prodige della nouvelle vague? Oui, tout est très beau, mais...

Mais il y a de la musique. Solo il tocco di Komeda riesce a dar forma al tutto, accompagnando, dialogando quasi, con l’ossessione di Léaud.

(cfr. qui)

Prendete invece, ad esempio, questa gemma cangiante del 1966 dal nome Astigmatic. Tre pezzi soltanto, di una frantica e dimessa ricerca; per mappare un mondo sonoro che Komeda aveva cavato fuori chissà da dove.

Questo pianista, che negli anni ’50 suonava, come tutti nella Polonia d’allora, ancora come nei ruggenti anni Venti à la Dixieland, raccatta ora una manciata di giovinotti ardimentosi e suona un dopo-bop in gratia dei.

E come suona!

Leviga il tempo d’una frenesia rattenuta e cinematica. Non soltanto movimentata, ma internamente scossa d’un lungo fremito di tre quarti d’ora.

Con i fraseggi corvini di Tomasz Stańko, dal clamore infervorato eppure leggerissimi, volteggianti qual foglia al vento, puoi vedere il suono.

Suona tale e quale ad una vaga inquietudine, mai appagata del tutto.

Questi cinque invasati disegnano geometrie invisibili d’un mondo ipnotico, e con ritmi febbricitanti le mettono in moto.

Non c’è uno stacco o un cedimento, ma solo un impercettibile travaso, che dal sincopato si fa quieto e dimesso, e poi instancabilmente diretto avanti con quel livore e quell'irrequietezza.

Tutto d’un fiato, un acuto e ritmato deliquio cinematico.

Insomma: un film per le orecchie.

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