KYRIE – "LE MECCANICHE DEL QUINTO"

I Kyrie sono un gruppo milanese di lunga data e gavetta nel circuito underground metropolitano. Questo disco (del 2004), il primo – e finora unico, a quanto ne so – non autoprodotto rappresenta quindi un’antologia della loro produzione precedente, cui si aggiunge qualche inedito, per un totale di 10 tracce.

Ricordo di averli sentiti la prima volta a Milano diversi anni fa e non mi colpirono particolarmente. Li ho ritrovati per caso proprio nel 2004, suonavano sempre a Milano, al Transilvania Live, vicino allo stadio di San Siro. Non mi piacquero molto neanche allora, li apprezzò invece la mia (ora ex) ragazza, Claudia. Tanto che da allora me li sono dovuti sciroppare quasi ogni volta che suonavano dalle nostre parti. Ebbene, in studio, ahimè, i nostri non sono meglio che dal vivo. Dal punto di vista esclusivamente musicale in realtà se la cavano non male, si coglie forse un po’ troppo l’influenza dei Cure e dei Joy Division, sicuri riferimenti del gruppo.

Ciò che invece proprio non sopporto è che il disco sia totalmente cantato in falsetto, e già al terzo pezzo mi scazzo, figurarsi un album intero. Mi urtano anche i testi: in genere mi sembrano piuttosto pretenziosi, come “Lipsia 1933”, sulla permanenza in Germania di Majorana (mai citato direttamente, ma chi ascolta i Kyrie evidentemente deve sapere chi era a scrivere nelle sue lettere “di uniformi di regime, / di teorie di nuclei, di donne austriache / e delle partite a scacchi chiuso nella biblioteca con Heisemberg”), o la citazione di Mann in “Decadenze” (“È Venezia che muore col volto di Aschenbach: / il diverso normale l'estraneo nostalgico”). Il vertice di quello che, francamente, appare un vacuo sfoggio di cultura è forse in “Ritiro estivo”: “Leggo in William Butler Yeats di Emmanuel Swedemborg / visionario audace esperto viaggiatore tra i pianeti, / e in un saggio di storia dell’ arte le teorie del Brunelleschi”.

Per carità, apprezzo le persone colte, ma detesto quelli che la loro cultura te lo fanno pesare, infarcendosi inutilmente la bocca di nomi e citazioni: se mi vuoi dire qualcosa, e se scrivi un disco evidentemente lo vuoi, dimmela, non me la nascondere sotto criptici rinvii e riferimenti. Altrimenti penso che forse forse in realtà non c’hai niente da dirmi. E se tanto leggere e studiare ti porta poi a forgiare versi del tipo “Vanno svilendosi nella divinità tutti i miei pensieri ciclici” (incipit di “Quello che non vedo”) finisce che mi stai pure sul cazzo. Per dire il vero non tutto è da buttare: piacevole “Caffè viennese”; molto dolce “Nimloth Kirloth”, ispirata a Tolkien; valida “L’uomo macchina”.

Tirando le somme, forse sarebbe più corretto un 2, ma dato che conosco il cantante, mi sta sulle palle, e ora Claudia sta con lui, non gli do più di 1.

Elenco e tracce

01   Lipsia 1933 (00:00)

02   Abbandonandomi (00:00)

03   Uomo Macchina (00:00)

04   Caffe Viennese (00:00)

05   Quello Che Non Vedo (00:00)

06   Rifugi Culturali (00:00)

07   Ritiro Estivo (00:00)

08   Spazi Bianchi Come Nuvole (00:00)

09   Decadenze (00:00)

10   Nimloth Kirloth (00:00)

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