Per fare la mia prima recensione su DeBaser volevo scegliere un'opera che nessuno aveva ancora trattato. Genere? Progressive rock, la mia passione. Non è stato facile trovarla: anche i minori del prog, Alusa Fallax, Cressida, Museo Rosenbach, tutti hanno la loro recensione, persino il Paese dei Balocchi e i Panna Fredda! Poi l'intuizione: chi può aver recensito La Pentola di Papin?
Disco scovato per caso, mentre cercavo altro, nel reparto progressive italiano della FNAC di Milano ormai 3 anni fa. Immediatamente simpatico per il nome e per la copertina che riproduce uno schizzo di uno strano strumento d'epoca (la Pentola di Papin appunto), e immediatamente acquistato.
L'album, l'unico della band, è del 1977, ovvero fuori tempo massimo per il prog (non sto qui a fare la pappardella né sul declino del prog, né sui gruppi che pubblicano un album poi spariscono). Del gruppo si conosce poco: si sa che è di Sondrio e che è composto da 4 elementi (tastiere e voce, chitarre, basso, percussioni ed effetti).
Parliamoci chiaro subito: l'album non è un capolavoro, non è innovativo, e a più riprese risulta poco equilibrato tra parti vocali e musica. Però è assai gradevole, specialmente per coloro che vorrebbero ascoltare il suono dell'Hammond da mattina a sera. Probabilmente la tardività dell'uscita (e probabilmente anche della composizione) dell'album è causa della mielosità dei testi, che risente di un'eccessiva influenza pop ("Son dell'idea di troncare con te, questo da tempo pensavo sai, non te l'ho detto anche perché" è il punto più basso dei testi). Inoltre la voce del leader e tastierista Ferry Bettini già di per sé non è granchè, senza parlare delle parti di lalalala corali. Dal punto di vista prettamente strumentale, il disco è molto bello, ben suonato e raggiunge il suo vertice nell'"Introduzione" di quasi 10 minuti, dove le tastiere la fanno da padrone e gli intrecci con chitarra e percussioni sono assai suggestivi. Poi parte il cantato (purtroppo). Il brano si chiude con la ripresa di alcuni temi iniziali e il suono delle campane a scandire il tempo. Gli altri brani ripetono in parte lo stesso cliché, ma senza raggiungere il ritmo e il pathos del primo pezzo. Il secondo risulta più hard e ricorda nella seconda parte qualche progressione dei Bram Stoker, il terzo inizia con sonorità quasi prettamente pop, il quinto con un assolo di batteria. In un album che pare concepito come suite, sebbene un po' zoppicante in questo aspetto, alcuni pezzi sono essi stessi costruiti come suite. Inoltre presentano anche alcuni "effetti di regia" come il rumore di folla che apre l'album, l'effetto disco volante al termine del quinto pezzo, e gli scroscianti applausi finali. Probabilmente quegli applausi che la Pentola di Papin non ha mai ricevuto. Ma che si merita.
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