Ammetto che non è stato facile recensire questo disco, vuoi perché sono estremamente di parte, vuoi perché si tratta del gemello diverso di un suo iconico predecessore di successo.

In questo 2022 compiono vent’anni la mia passione per i Lacuna Coil e il loro album più famoso e celebrato: “Comalies”. Mentre dell’anzianità del mio amore per la band milanese credo interessi a pochi, al contrario, posso dire che il disco che sto per recensire ha fatto molto rumore e non solo per la pesantezza delle sue sonorità.

Correva l’anno 1994, quando Marco Coti Zelati, Andrea Ferro e Raffaele Zagaria diedero vita agli Sleep of Right, divenuti poi Ethereal, con l’arrivo in formazione della bella Cristina Scabbia, di Claudio Leo e Leonardo Foti. Lacuna Coil, (spirale vuota) fu il nome che la formazione scelse dopo aver appreso che il precedente era già in uso in terra ellenica. Il successo arrivò grazie alle prime demo, che attirarono l’attenzione di diverse case discografiche, tra le quali spiccava la Century Media Records, che fu la più convincente (ad oggi ancora produce la band), proponendo da subito un imminente tour nella terra dello Zio Sam. L’uscita del primo EP, il self-titled “Lacuna Coil”, traghettò la band verso il primo album ufficiale, “In a Reverie”, datato 1999. Il successo crebbe ulteriormente e il secondo EP “Halflife”, prequel del secondo album “Unleashed Memories”, datato 2001, diede nuova linfa al consenso già raccolto fino a quel punto. Comalies uscì l’anno seguente. Le sonorità hard rock miste a melodie sinfoniche lo resero fin da subito un disco tanto particolare, quanto apprezzato dalla critica. “Heaven’s a Lie”, tra i singoli estratti, si può annoverare ancora oggi tra i pezzi più iconici dei Lacuna Coil, sempre proposto durante i live e particolarmente amato dal pubblico. Con questa pubblicazione la band riuscì a farsi spazio nelle classifiche che contano oltreconfine, ottenendo anche il 178° posto nella Billboard e ricevendo due anni dopo, nel 2004, l’invito ad esibirsi all’Ozzfest.

Comalies è una sontuosa celebrazione di questi vent’anni, passati tra successi, difficoltà personali e cambiamenti nella formazione originale. Oggi nella band troviamo i tre membri fondatori, Cristina Scabbia (frontwoman), Marco “Maki” Coti Zelati (basso) e Andrea Ferro (voce maschile), ai quali si sono aggiunti Diego Cavallotti (chitarra) e Richard Meiz (batteria). L’album è la rivisitazione in chiave dark delle tredici tracce originali. Il valore aggiunto per l’album e per la band (da sei anni a questa parte) è l’evoluzione vocale di Andrea Ferro. Con l’ottavo disco in studio “Delirium”, Andrea ha introdotto (inizialmente quasi a livello sperimentale) lo scream e il growl, dimostrando da subito, anche grazie ai live, di possedere un talento in precedenza inespresso. Ai tempi del Comalies originale, le corde del male vocalist proponevano un esclusivo cantato melodico, senza particolari “strappi” o episodi aggressivi. In questo remake, la musica cambia completamente e la seconda voce si rifà completamente il trucco. Un trucco nero e marcato.

Si parte, come da tracklist originale, con “Swamped” (a mio avviso la rivisitazione meno riuscita). La voce di Andrea Ferro graffia subito, facendoci capire che la musica è cambiata. Ma lo fa quasi forzatamente, sembrando a tratti poco pertinente. La melodia non viene particolarmente stravolta, eccezion fatta per il ritmo, più incalzante grazie alla batteria di Richard Meiz, che fa galoppare la voce di Cristina. Al contrario, Heaven’s a Lie dimostra di aver subìto il trattamento opposto. Le prime note, impreziosite da archi, esplodono nel ritornello, musicalmente più sofisticato rispetto all’originale. La voce maschile ringhia in un growl gutturale molto profondo, con Cristina che ribadisce il leitmotiv in modo corale. “Daylight Dancer” segue la stessa linea e ne viene rivisitato il ritornello, rendendo più protagoniste le due voci, mentre “Humane” e “Self Deception” mantengono molto della trama musicale dei primi anni duemila, conservando la melodia nella voce di Andrea e proponendo le note oniriche fatte di archi, tipiche delle sonorità primordiali della band. Anche “Aeon”, il pezzo che fa da intermezzo acustico, subisce un totale restyling. La vocalità, che accompagna il breve testo, è impreziosita dal sintetizzatore.

Con “Tight Rope”, a mio avviso il miglior pezzo dell’album originale e la miglior rivisitazione di questo remake, diamo il via a un crescendo che ci accompagnerà fino alla fine. Il cantato di Cristina viene privato di quell’effetto claustrofobico che caratterizza per intero la versione originale. Non che il primo “Tight Rope” fosse qualitativamente inferiore, intendiamoci, ma questa nuova versione lo rende attuale, potente e in definitiva impeccabile.

“The Ghost Woman and the Hunter” rimane il solito episodio emozionante, ancora oggi da pelle d’oca. Vengono aggiunti riff, come nell’assolo di Diego Cavallotti, che ci porta verso la fine.

In “Unspoken” troviamo un utilizzo diverso del sintetizzatore rispetto all’originale e molta più aggressività, con tanti riff e un growl ancora più persuasivo. Le bacchette di Meiz, le corde del basso di Maki e della chitarra di Diego, accompagnano corpose le due voci. Pura potenza, che fa sembrare gemelli diversi i due pezzi.

Ciò che accomuna “Entwined”, “The Prophet Said” e “Angel’s Punishment”, è il cambio totale dell’intonazione nel cantato (anche per quanto riguarda il growl di Andrea) e un impreziosimento della melodia che accompagna entrambi i vocalist. “Angel’s Punishment” (il titolo è eloquente) è accompagnato, sia all’inizio che durante il brano, da interludi contenenti citazioni originali tratte dai telegiornali risalenti al periodo della pandemia.

“Comalies”, la title-track, chiude degnamente il discorso. Anche se a mio avviso non conserva lo stesso fascino dell’originale, è una rivisitazione incredibilmente emozionante. Il cantato di Cristina è sia in italiano che in inglese, dualità che annovera la canzone tra le più iconiche e rappresentative della band.

Non vedevo l’ora uscisse questo “Comalies XX”, le aspettative erano molto alte e come sempre sono state rispettate. Era un azzardo, un’operazione tanto pericolosa quanto coraggiosa ma, come succede da sei anni a questa parte, i Lacuna Coil dimostrano di non sbagliare un colpo. Cristina, Marco e Andrea sono come il buon vino. La loro musica e la loro immagine non fanno altro che migliorare con il passare del tempo e la nuova formazione, ad oggi, sembra una macchina perfetta. Non ce ne vogliano i passati membri della band, che erano a loro volta un valore aggiunto ma con Diego Cavallotti e Richard Meiz è palese la perfetta sinergia.

Datemi retta, ascoltate tutti “Comalies” e il suo gemello appena nato. Potrete fare tranquillamente il paragone tra l’uno e l’altro, dato che questa pubblicazione comprende fisicamente entrambi i dischi.

Ve lo consiglia un Coiler accanito. E dovrebbe bastare.

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