Avete presente come è realizzato un diamante? E' una gemma che, appena estratta dalla miniera, non è del tutto preziosa. E' opaca e sporca. Solo attraverso alcune operazioni di pulitura e raffinatura diventa come la conosciamo noi, brillante e di valore. E piena di sfaccettature. Non sapete cosa sono le sfaccettature? Sono quelle particolari forme, facce e riflessi che il diamante assume in seguito all'angolazione assunta dalla luce. E che rendono questa pietra unica.
Qualcuno a questo punto si chiederà: "Ma questo è DeBaser o un convegno di mineralogia?". E' DeBaser, non preoccupatevi. Per quale discorso vi ho fatto quindi questo ragionamento? Per introdurvi il gruppo di cui farò la recensione oggi. I Lansing-Dreiden. Che, andando per similitudini, si può decisamente paragonare a un diamante ricchissimo di sfaccettature. Chi sono quindi i Lansing-Dreiden? Un gruppo di raffinato e magmatico pop newyorkese? Anche, ma non solo. Gli organizzatori di alcuni eventi dedicati alla pittura, alla scultura e alle belle arti in generale? Anche, ma non solo. I direttori di un famoso (e seguito) magazine di letteratura? Anche, ma non solo. Ordunque? Non avete le idee chiare? E' normale.
I Lansing-Dreiden sono tutto e niente. Rimangono prevalentemente nell'anonimato (preferendo non eseguire live, affidandosi ad una Section di nove pc in grado di riprodurre la loro musica, e scegliendo di non avere un rapporto diretto coi giornalisti, non rilasciando interviste) in modo da creare un'aura misteriosa attorno a loro. Ma spesso, queste sono astute furbate commerciali, per causare il diretto opposto delle presunte intenzioni, ovvero la fama e il successo. Come se non bastasse, se qualcuno disgraziatamente non avesse occhi per notarli e interessarsi a loro, rimangono le loro multiformi rimanenti sfaccettature: il magazine, le mostre, e così dicendo. E' quindi palese che la posizione di questo gruppo è ambigua e decisamente difficile da analizzare: in poche parole, non si capisce se ci siano o ci facciano. A quelli che commenteranno (spero positivamente) questa mia recensione l'ardua sentenza.
Io sono qui stasera per parlarvi però dell'aspetto musicale del gruppo. Anzitutto bisogna premettere che i Lansing-Dreiden hanno buttato decisamente molta carne al fuoco per i critici musicali con l'uscita del loro primo lavoro ("The Incomplete Triangle", 2003). Tutti gli esperti del settore hanno avuto qualcosa da dire su questo cd: chi osannava il capolavoro, chi lo riteneva indifferente per le sorti della musica, chi esaltava la grande varietà di suoni presenti in questo disco, chi lo stroncava senza pietà e senza remore, chi ne sottolineava la poliedricità ma poi lo faceva passare per appena sufficiente o comunque una rivisitazione di altri suoni già ripetuti molteplici volte. Anch'io ho ascoltato quel disco e, pur non essendo assolutamente in grado di calarmi nei panni della figura del critico, posso affermare che mai titolo fu più esatto: è proprio un triangolo incompleto, in quanto inizia con un paio di tracce decisamente innovative e poi sfocia nel nulla più assoluto, una leggera pioggerellina nel mezzo del Sahara. Quindi era comprensibile l'attesa frenetica per questo nuovo lavoro dei newyorkesi, "The Dividing Island" appunto, uscito nel 2005 in America e nel 2006 in Europa e nel resto del mondo.
Già la copertina riflette in pieno l'ambiguità del gruppo: uno sfondo essenziale, completamente bianco, con un trapezio bianco e blu al centro della scena. Una forma sottile di masochismo per attirare solamente gli appassionati di rarità quanto una furba operazione commerciale per attirare le masse ipnotizzate dal mistero del gruppo. Indefinibile ancora una volta dare una risposta. E' opportuno quindi analizzare le canzoni all' interno (dieci in tutto) per poter giudicare il prodotto. La presentazione è data dalla traccia omonima, aperta da un ritmo dispari dato da alcuni tamburi misti a bonghi, nella quale confluiscono molteplici influenze, le une parecchio diverse dalle altre. Campionamenti dal sapore elettronico si alternano a piccoli stacchi di corni scozzesi e barriti generati dalle tastiere: il tutto sfocia in una parte caratterizzata da un cantato dolce, quasi epico, che accompagna l'incedere della canzone fino ad un'improvviso quanto repentino innalzamento di watt. Scosse psichedeliche attraversano la colonna vertebrale dell'ascoltatore, costretto a seguire ora una parte dalle influenze floydiane, ora un hard rock sporco e potente, il tutto accompagnato da un sottofondo quasi mistico. Decisamente la fantasia non manca.
Seconda canzone, dal titolo altisonante ("Cement To Stone") e caratterizzata da una grande ricchezza di cambiamenti strumentali e vocali. L'incipit è caratterizzato dal suono di alcune chitarre acustiche, atte soprattutto a sbilanciare la bussola dell'ascoltatore, che si vede passare sotto gli occhi una traccia di wave pop contaminata da migliaia di suoni differenti (dai synth elettronici alle incursioni della tastiera ai coretti di bambini in mezzo alle chitarre) e alla fine non riesce a comprendere pienamente, se non dopo molti ascolti, la completezza di questa composizione. E anche qui, anche se forse un po' prematuramente, giunge la perla del disco, la favolosa "A Line You Can Cross", finalmente un pop sintetico arrangiato con ampi campionamenti elettronici e residui delle antiche, gloriose orchestre (arpeggi, sviolinate e chi più ne ha più ne metta). Non basta? Nessun problema, dentro c'è spazio anche per le tastiere e per i virtuosismi vocali (sempre dal sapore leggermente etereo).
Non siete ancora soddisfatti? Mhmm. Anche per voi difficilotti c'è la soluzione: la successiva traccia "One For All", impregnata sorprendentemente di romanticismo, accontenta anche chi non è mai pago di sentire nuovi suoni e spunti celestiali in mezzo a bolgie sonore. Qui i padroni si dimostrano sorprendentemente i synth, sempre più maggiormente impiegati in incursioni fra dolci cantati, delicati arpeggi e improvvisi stacchi di chitarra. Impossibile, a questo punto, non sentirsi pienamente soddisfatti del risultato parziale del disco. Ma siamo solo a metà, quindi freniamo i nostri bollenti ed esultanti spiriti per concentrarci su una pietra miliare del cd, la quinta canzone "Two Extremes". Due estremi? La canzone tradotta in italiano significa due estremi? Rimango un po' perplesso. Qui, stranamente, di estremi non c'è n'è neanche uno. La suddetta traccia è infatti la più lineare del disco, sorretta da una struttura di morbido piano e ultraterrena arpa accompagnata da una voce soffusa e piacevole. Incredibile come i nostri riescano a mettere i titoli giusti alle canzoni sbagliate e viceversa. Quindi, se a forza di scalpellate sonore mi ero tolto il dubbio della commercializzazione del disco, ora questo si rifà sotto prepotentemente. Meglio andare avanti nell' ascolto.
La sesta composizione ("Part Of The Promise") ha un sapore incredibilmente punk. E anche qui i Lansing-Dreiden eccellono per inventiva, in quanto i riff crudi vengono accompagnati da beat decisamente funky, in stile Red Hot Chili Peppers, e da stacchi solitari durissimi, che di pop ne hanno quanto la suola delle scarpe, e di metal ne hanno in misura sufficiente da poterne affermare la natura violenta. Ed ecco la traccia-tranello. La settima "Our Next Breath" è decisamente un testo creato per il mercato dei giovani adolescenti che si nutrono a santini e Madonne, oltre che a Williams e simili. La melodia è spesso contornata da una chitarra che più scontata di così non poteva essere, la vena inventiva dei newyorkesi svanita in un bicchiere d'acqua, assenti i familiari synth, ormai l'arpa è un ricordo lontanissimo, e appena viene suonata l'ultima, sconvolgente nota si tira un sospiro di sollievo, atto a cancellare ogni minima traccia di questa canzone. Un passo falso da parte dei Dreiden.
Bisogna riprendersi con qualcosa di originale. Ma la soluzione non giunge dall'ottava traccia, dal titolo "Our Hours", poichè anche qui la creatività del gruppo sembra essersi smarrita per strada, un paio di canzoni più in là. "Our Hours" è un pigro riproponimento di "Part Of The Promise": le atmosfere punk ci sono, intatte, i beat funky svaniscono a poco a poco per lasciare il posto a un sottofondo dark, la canzone procede benissimo, non è niente male, ma è già stata sentita. Ragazzi, e qui mi sorge il dubbio. Possibile, mi chiedo? Possibile che un gruppo come i Lansing-Dreiden non abbia avuto nè il tempo nè la voglia di inserire una strumentale? Il tempo l'hanno avuto, eccome. La voglia? Anche. Ecco partire la nona canzone, "Symbol Of Simmetry", una bellissima strumentale che attinge a piene mani dalla scena wave degli Eighties (per quanto riguarda il giro di chitarra iniziale, suggestivo e ipnotizzante) e ci aggiunge gli elementi essenziali delle tracce precedenti (piano) oltre ad introdurre elementi a noi solo parzialmente noti (come il violino). Indubbiamente un'ottima prova.
E come si suol dire: i latini amavano dire spesso dulcis in fundo; e come al solito, la saggezza classica si rivela fondamentale anche nel Duemila. Ma ci vorrebbe pure un'equazione matematica per riuscire a capire che, in questo caso, l'ultima traccia equivale davvero al capolavoro. Il capolavoro pesante, quello che conta. L'epilogo prende il nome di "Detrhoning The Optimyth". Cosa contiene questa canzone? Certamente non tutto ciò che può desiderare una massaia, ma tutto ciò (e sottolineo drasticamente il TUTTO) che può e deve pretendere l'ascoltatore colto da un gruppo promettente. E certamente, con tutto questo intruglio dei generi più disparati, poteva venire fuori o una grande puttanata o un grande capolavoro. E quindi, parafrasando Corrado Guzzanti, "la seconda che hai detto". "Detrhoning The Optimyth" contiene violentissimi riff metal alternati a falsetti con sottofondo glam: incursioni prepotenti di synth abbinate a cantati epici (quelli tipici del powre metal, per intenderci); scampanellì i improvvisi come i raffreddori autunnali assieme a giri di chitarre acustiche e alle morbide note del piano. Insomma: un gigantesco calderone in cui cuociono perfettamente tutti gli ingredienti necessari.
Bene, l'ascolto è terminato. Ma la domanda pressante iniziale non si è dissolta: ci sono o ci fanno? Io risponderei così: ci fanno. Nonostante l'ottima prova generale, certamente sviluppata in modo meticoloso e minuzioso, alcune tracce presentavano davvero dei cedimenti preoccupanti. Cedimenti che rivelavano che, in realtà, la struttura portante non era in oro, ma in legno dipinto. In poche parole: anche le canzoni migliori sono state create furbescamente per attirare la parte più attiva della massa musicale. Ma è un opinione assai incompleta, e vista solo secondo il mio giudizio imparziale: a voi la parola.
Comunque sia, disco consigliato.
Elenco e tracce
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