Il 1977 e' stato un anno cruciale nei miei rapporti con la musica e la discografia: dopo diversi anni passati ad acquistare 45 giri, il sottoscritto, allora tredicenne e che da tempo non si faceva piu' accompagnare ai vari negozi, decise di operare la svolta nel formato piu' grande, in un momento decisivo per l'evoluzione di tutta la musica pop. L'illuminazione arrivo' nel momento in cui Ciao 2001, unico settimanale musicale disponibile nelle nostre edicole, decise di sbattere in copertina una frase a effetto, allo scopo di vendere qualche copia in piu': " Ma che cos'e' questo Punk? ". Fortunatamente la risposta mi venne data non solo da quelle pagine, ma soprattutto da chi, all'interno di casa, in pieno trip Velvettiano-Stoogesofilo, passava il tempo cantandomi in faccia " We can be heroes, just for one day! ".

Molto utili si rivelarono le pubblicita' dei dischi su quelle stesse pagine, e nei primi del '78, approfittando delle sole 3000 lirette, portai a casa una compilation della United Artists chiamata Punk Off!, il primo 33 giri acquistato coi miei risparmi, scoprendo Stranglers, Dr. Feelgood e Buzzcocks: una trilogia per me storica, completata poco tempo dopo da Punk Collection Vol.1 della RCA, e Heroes And Cowards, con tutto il primissimo catalogo Stiff incluso.

In ognuno di quei dischi non era poi cosi' difficile comprendere quanto il genere fosse gia' all'epoca oggetto di varie interpretazioni: dove non arrivava il sound arrivava quantomeno l'attitudine, e questo bastava a far convivere i Damned con Elvis Costello, i Talking Heads con i Dead Boys, i Ramones con Larry Martin Factory.

Gia'...Larry Martin Factory...unico album di tutta quell'infornata ad esser stato acquistato qualche mese prima dal mio decadente fratellone, una venerazione ostentata al pari di un Berlin o di un Low, ma nel contesto di una lurida brasserie di Montmartre a renderlo pressoche' unico nel suo genere.

Un americano a Parigi in versione rocker: produttore per altri artisti, autore di musiche da film, incluso Godard, collaborazioni con nomi del calibro di Francoise Hardy. La relativa vicinanza tra Parigi e Londra fa il resto nell'avvicinare quest uomo a sonorita' che uniscono il Rock'n'Roll a racconti tesi e disperati, e se Lou Reed in quell'anno importante sembrava aver tirato i remi in barca con l'innocuo Rock'n'Roll Heart, in quest impolverato album e' nascosta la miglior risposta.

Una Factory trasferita in quella brasserie, luogo non dissimile da uno dei tanti scalcinati pub di Camden Town, regno di delinquentelli sedicenni, furto con destrezza e polvere bianca consumata nella toilette in tutta fretta, lasciando a terra la siringa insanguinata. Un bartender dalla canotta sudata e dal sigaro perennemente in bocca, interessato esclusivamente ai soldi anziche' alla pulizia del locale, compreso quel palco scricchiolante dove si consuma la colonna sonora di una lunga notte agli estremi, fino al risveglio nel tardo pomeriggio, in piena crisi d'astinenza.

Il combo intrattiene alla maniera di una PubRockBand, ma qui non si tratta di Milk&Alcohol Stories alla Dr. Feelgood, da rinsavire con una bella doccia, l'approccio e' molto piu' forte e musicalmente interessante, e se Monsieur Martin indugia spesso sui quattro accordi riannodando perennemente lo sporco canovaccio, il pianista classico Michel Carras ne nobilita le trame, anche con l'ausilio di sottilissimi fili dorati a base di String Synth, essenziali come si conviene. Tutto questo trova il perfetto equilibrio nella compassata tostaggine di Dog Day Afternoon, e nelle fumose sfuriate vocali del leader in Moonlight Rock, inno da hooligans a tutti gli effetti. Altrove la mirabile poliedricita' del collettivo fa realmente la differenza: la storica Sweet Mama Fix si espande su drappeggi damascati avvolti sul corpo della vittima, e non a caso e' una reale Funeral March a farne da triste e cadenzato epilogo... tetri e superbi momenti.

No Widow On The Beach e la Title Track dai bei guizzi di sax gettano altra benzina sul fuoco, nel tentativo di riscaldare la barcollante atmosfera carica di contorcimento in Snow Line Rover: una richiesta esplicita di tossico aiuto, nel bel mezzo di un temporale. Ma per arrivare al climax occorre attendere la campana a morto che introduce un'ultima macabra visione di strada, Murder fa respirare l'accadimento di un misero fattaccio chiuso nel sangue, compresa una vana via di fuga nello stantuffare della ritmica, prima di essere acciuffato in uno sfortunato e buio cul de sac.

Altro non so dire, se non che venga finalmente resa giustizia a un pezzo di insano e solido rock come questo: merita assolutamente una stampa in CD, ai tempi venne pubblicato solo in Francia e Italia e non furono in tanti ad ascoltarlo e a innamorarsene. 

Sweet mama fix, death on your lips, you know every trick, sweet mama fix, sweet mama.......FIX! 

 

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