Nel 1965 l'etichetta Blue Note stava già sfornando una pletora di long playing a nome di organisti quali Baby Face Villette, Freddie Roach, Big John Patton etc. oltre che a proseguire l'opera di registrazione del piu' celebre di tutti: Jimmy Smith. Le cose stavano cambiando, la stagione dell'hard bop (genere che aveva reso famosa l'etichetta storica del jazz) cedeva il passo ad una stanca commercializzazione del boogaloo. A fianco di ciò la stessa compagnia di Alfred Lion non si faceva sfuggire l'occasione di produrre gli artisti piu' "in" della new thing, da Ornette a Don Cherry, Cecil Taylor, Sam Rivers e faceva incontrare vecchie glorie, come Jackie McLean, lo straordinario altista scoperto da Art Blakey, con Ornette alla tromba (!!!), nel mitico "New and old gospel".

Larry Young era un organista della scuderia r'n'b/jazz ma aveva già dato segni di insofferenza alla rigida scuola che tanti soldi procurava a Lion. Il precedente album "Intosomethin'" vedeva ai fiati Sam Rivers e il suo sound sgraziato e goffo. Inoltre alla batteria Elvin Jones, già fido suo collaboratore, di cui è inutile ricordare la magica militanza con John Coltrane, nel quartetto dei sogni.

Con "Unity" ci troviamo difronte al suo capolavoro assoluto e ad uno dei "Blue Note" piu' perfetti mai stampati nella storia della casa discografica "since 1935". Un lavoro di bellezza e unità irripetibili (unity, appunto) che consacrano Young come il piu' grande hammondista di tutti i tempi. Da questa opera Young prenderà il volo per produrre il seguente interessantissimo "Of love and peace", vicino al free e la seguente carriera con i Lifetime di Tony Williams. Questo fino alla prematura morte avvenuta nel 1978 (Young era del '40). In "Unity" troviamo oltre a Jones alla batteria, un giovane ma già altissimo Joe Henderson al tenore e soprattutto Woody Shaw alla tromba, poco piu' che ventenne.

Dico soprattutto Shaw poichè "Unity", a parte un tema di Henderson e due "standards", è composto interamente da lui. Si potrebbe dire che nei fatti è un album di Shaw se non fosse che l'hammond b3 dei Young è la vera chiave del sound del 33 giri. "Unity" non è un lavoro innovativo, anzi; diciamo che è una sintesi di tante cose che già si muovevano nei '60: dall'hard bop dei Messenger, a un pizzico di free (propio un'idea di noce moscata) e soprattutto l'ombra di Coltrane, di cui Young è un vero e proprio traslitteratore su tastiera. Questo è un disco che si fa amare non per la sua influenza ma per la sua compiutezza. Il suo swing, la sua intensità sono così contagiosi che non si può resisterere al suo felice vigore. Se questo si potrebbe dire per altri album hard bop, quello che eleva "Unity" è la prepotente personalità del risultato. Pur essendo tante cose insieme è un album unico!!!

Passo ai brani: apriamo con una marcia scandita dal rullante di Elvin Jones a cui si affianca una altrettanto marziale figura in 2 dei bassi dell'hammond. L'ingresso dei fiati è oltremodo militaresco, di fanfara ma si stempera, grazie all'apertura afro, nelle armonie lidiane del tema di "Zoltan" (Shaw). L'intro è un omaggio al compositore Zoltan Kodàly, ripreso dalla sua suite Hary Janos. Sequenza di soli, aperta dalla tromba, dove già Shaw dà mostra dell'uso delle note degli accordi di passaggio, in modo da ottenere il suo tipico effetto scivoloso e insinuante, vicino a quello del suo contemporaneo collega Charles Tolliver. Anche per Young non ci sono mezzi termini: il suo solo dichiara apertamente che non siamo nel mondo di Jimmy Smith ma nell'articolato, inerpicante universo coltraniano. L'elastico 4 a 4 con Jones porta al ritorno del tema fino alla marcia di Kodali. Un'esecuzione frenetica e gioiosa (Unity è uno dei dischi di jazz piu' felici mai stampati).

La seconda traccia vede l'organista duettare con Jones sul tema e sulle armonie del tema di Thelonious Monk, "Monk's dream". Un dialogo dove le due concezioni poliritmiche dei musicisti trovano un'intesa perfetta, siamese. Il momento da "camera" del disco. Young ama ingarbugliarsi nei cromatismi e nella caccia della frase mentre Jones rotola sulla sua Gretsch.

"If" è l'unica composizione di Joe Henderson presente sul disco. Al tempo il tenorsassofonista era considerato uno dei tanti bravi musicisti "soul" della Blue Note; causa di ciò forse la sua militanza con i gruppi di Horace Silver (Song for my father" un bestseller) e Lee Morgan ("The sidewinder", Il bestseller della Blue Note). Ciò ha permesso alla critica di distrarsi riguardo questo splendido artista dal suono tabacco e dalla pulsazione ritmica particolarissima delle frasi, non solo la sintesi di Rollins e Coltrane ma un'entità a sè stante, che nella maturità è saltata alla ribalta, consacrando Henderson uno dei grandi sax di sempre. "If" è il blues della situazione: nel tema si notano già le spigolose accentuazioni ritmiche caratteristiche dell'eloquio di Henderson, che apre la gara dei soli parcellizzando l'improvvisazione fino a culmini isterici alla Trane. Quando tocca al solo di Young ci troviamo nelle parti dell'"Impressions" coltraniana: leader e batteria, senza basso, interscambiarsi alla pari in una fuga forsennata di affermazioni, ripensamenti e di nuovo affermazioni.

"The moontrane", di Shaw è il tema piu' famoso del trombettista, brano che riproporrà sempre nel suo repertorio live. Il solo di tromba è perfetto nella sua logica e nell'uso delle pause, assolutamente facile da memorizzare. trovo delle similitudini tra Henderso e Young nel fraseggio dei soli; sornione, insidioso, pacato. Senza tregua il 3 sul quattro e i paradiddles terzinati di un Elvin senza tregua che addirittura intuisce in tempo reale certe frasi del tastierista, fino al rutilante solo di raddoppi di terzine incastrate.

E veniamo a quello che per me è il vertice assoluto dell'intero album: la piu' entusiasmante interpretazione di "Softly (as in a morning sunrise)" (Romberg-Hammerstein III) mai catturata su disco. Si potrebbe anche non dire del magistrale solo di Henderson, caldo, earthy e gutturale, dalla logica ferocissima, o del forsennato squillare della tromba di Shaw ma non si può tacere di quello che è il piu' perfetto solo di Hammond che esista sulla faccia della terra!!! Davvero Young, che già sembra ben intenzionato, a giudicare dal voicing stretto con cui ha accompagnato i soli, libera orgasmaticamente la sua fantasia costruendo un solo veriginoso, giocato sulla tensione del trattieni-e-molla. Quando i fiati contrappuntano l'acutizzarsi del settaggio dell'hammond non fanno altro che lanciarlo nella sequenza liberatoria ed esplosiva del climax dell'assolo. Asoltare per credere: al termine, il tema, eseguito da Shaw (all'apertura era il solo Henderson a suonarlo, composto e subdolamente sottotono) appare sfibrato, distrutto, dopo tanto furore.

"Beyond all limits", ultimo brano di "Unity" è un po' la "Milestone" della circostanza. Fast time su cui le varie voci si rincorrono appoggiati alle scintille del ride di Jones. Dopo tanto fuoco ci si aspetterebbe del relax ma il quartetto sembra correre su una Ferrari, ancora voglioso di comunicare gioia della velocità e volontà di potenza.

Ascoltatelo!!!! Vi sarà difficile credere che, di questi artisti, non ne sia piu' vivo nessuno…

 

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