Siamo nella fredda ed algida Svezia e sono passati anni, forse decenni dal 2012, anno in cui la serie svedese Äkta Manniskor è uscita sul canale svedese SVT. Non si sa che anno sia, ma nulla è più come era prima.

La produzione di hubot (robot che nella serie svolgono attività che in passato venivano svolte dall’homo sapiens – in principio perlopiù manuali) è arrivata a creare macchine che, in molti casi, poco si distinguono dagli umani in carne ed ossa. Così entrano in gioco l’etica, le emozioni e un progresso scientifico che sembra sempre più in grado di portare al prossimo step dell’evoluzione – il passaggio dall’uomo sapiens al super uomo.

Un codice informatico ideato da uno scienziato in un remoto villaggio svedese, “libera” una banda di hubot, li rende cioè in grado di percepire le emozioni alla stessa maniera in cui le percepisce ognuno di noi. La creazione di robot con fattezze (esteriori e interiori) umane, porta alla nascita di un partito populista chiamato “Äkta Manniskor” (esseri umani reali) che combatte per i diritti delle persone biologiche, anche organizzando manifestazioni violente.

Cos’è giusto? Cos’è etico? Può l’uomo arrogarsi il diritto di creare degli esseri umani in scatola? Può un robot avere gli stessi diritti di un “real human”? Può esistere l’amore tra un robot e un essere umano? Come si comporterà la politica di fronte ad un progresso e a una rivoluzione di una portata che mai si era neppure immaginata prima?

Le due stagioni di Äkta Manniskor lasciano aperti numerosi quesiti, dipingendo un possibile scenario futuro in cui le diatribe sulla nazionalità o sul colore della pelle potrebbero essere sostituite da quelle tra esseri umani e robot. Perché se c’è una cosa che non mancherà mai, nemmeno in un mondo ipertecnologico, sono i conflitti politici e sociali. Ma soprattutto chi è che decide cosa è umano e cosa non lo é?

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