Sono tredici minuti interminabili quelli scelti da Lars Von Trier, per la chiusura dell'opera, il pianto di una ragazza straziata e logorata da un epidemia non solo fisica ma mentale, una sagoma sofferente che tra vomiti e lacrime concede al pubblico il primo piano più inquietante e "malato" di tutto il film. Una giovane, mai apparsa sullo schermo, diventa il testimone chiave dell'omicidio dell'umanità, quest'ultima che non può più ripararsi dietro al futile, proteggersi dalla razionalità dell'essere umano ormai diventato menefreghista e autolesionista. L'incubo vince sul sogno e la realtà sull'immaginazione. La scelta di immagini in bianco e nero, di un intreccio chiaro ma articolato, la scelta di giovani attori (il protagonista lo stesso Von Trier), la verità partorita tra urla e sangue. Il sadico ma "pulito" terrore psicologico che avrebbe contraddistinto il regista negli anni a venire inizia a presentarsi sullo schermo in maniera ancora puerile ma efficace; a partire dal titolo, "Epidemic", qualcosa che da fastidio con la sola pronuncia.
Due registi, a cinque giorni dalla consegna della loro sceneggiatura all'ente produttore, in seguito a dei problemi tecnici si trovano costretti a reinventarla, dopo un colloquio durato solamente poche battute i due protagonisti decidono di inventare una nuova storia. Il soggetto della nuova opera sarebbe stata un'ipotetica epidemia di peste che avrebbe colpito l'intero pianeta Terra nei secoli a venire. La razza umana è costretta a vivere all'interno di cittadelle fortificate al riparo dal contagio. Gli stessi medici ormai rinunciatari e sconsolati hanno deciso di vivere al meglio gli ultimi anni della loro vita; tutti tranne uno, un giovane dottore deciso a sfidare l'epidemia munito di aspirine e buona volontà. Una volta giuntò sui territori contaminati il dottore fa conoscenza con un giovane ragazzo di colore il quale... I giovani registi studiano con approssimazione e tranquillità il significato del loro film, tra lunghe chiacchierate e un viaggio in Germania. Che l'epidemia non sia solo filmica ma anche mentale?
Sicuramente non il miglior film del regista, ma un esperimento curioso e giovanile con tratti di ironia e curiosa sperimentazione, riportando su pellicola uno degli argomenti che sconvolsero maggiormente la storia dell'umanità: la Peste Bubbonica. La malattia rappresentata dal regista è la stessa malsana voglia di correre verso un futuro (ormai presente) che porta alla pazzia, al disagio mentale e al bisogno fisico di situazioni e cose che possono solamente nuocere; alla fine dell'opera rimaniamo immobilizzati davanti alla violenza esibita dal regista, nonostante, quest'ultima quasi mai si sia presentata. Il film si risolve negli ultimi venti minuti. Un autore cosi si può solo continuare ad amare... O Odiare?!
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Mr Wolf
7 mag 10fosca
7 mag 10polkatulk88
7 mag 10aries
8 mag 10